Di recente, la Corte di Cassazione ha bocciato i referti analitici riguardanti un olio extravergine d’oliva di qualità non conforme a quella dichiarata. Numerose le indagini della fattispecie, compiute dai diversi corpi di polizia italiani che si occupano di frodi, negli ultimi anni, partendo dal Corpo Forestale fino ad arrivare ai Carabinieri per la Tutela Agroalimentare. A raccontare quanto accaduto è Alberto Grimelli, direttore di Teatronaturale.it, che si occupa del settore oleario. La sentenza in discussione è la numero 4/2023 dell’11 gennaio scorso, che è stata emessa dalla quarta sezione penale della Cassazione.



Grimelli definisce la sentenza “un pugno nello stomaco per chi ritiene che il giudice debba applicare la legge, quindi vi sia un’oggettività del giudizio, che origina la certezza del diritto, ovvero che la legge è uguale per tutti”. Nella sentenza si legge infatti che “il vigente sistema processuale penale non subisce i limiti di prova stabiliti dalle leggi extrapenali, eccettuati quelli afferenti lo stato di famiglia e la cittadinanza (art. 193 del Codice di Procedura Penale) e non conosce ipotesi di prova legale anche nei settori in cui sussistono indicazioni normative di specifiche metodiche di verifica, ben potendo il relativo accertamento essere dato con qualsiasi mezzo di prova”.



La sentenza

La sentenza numero 4/2023 della quarta sezione penale della Cassazione indica che non importa se esistano norme europee volte ad attestare, attraverso esami validati, la conformità (e non) dell’olio extravergine di oliva alla normativa. Infatti, “Non sono prove legali e anche la semplice testimonianza di un esperto può ribaltare il giudizio del giudice”, spiega Grimelli. La sentenza si applica “In tema di frode nell’esercizio del commercio, ai sensi dell’articolo 515 Codice Penale, l’esistenza di specifiche metodiche di accertamento normativamente previste non introduce prove legali, non consentite nel nostro ordinamento dal principio del libero convincimento del giudice e della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, ben potendo la prova della diversa qualità del prodotto, essere liberamente tratta anche da fonti eterogenee”.



Dunque, una testimonianza può pesare più di un esame scientifico condotto per accertare i metodi di coltivazione e la provenienza della materia prima. Queste prove possono valere in sede civile per accertare eventuali sanzioni pecuniarie da corrispondere alle parti danneggiate. Ad esempio, come spiega Libero, un produttore di olio d’oliva può essere condannato in sede civile sulla base di test ma assolto in sede penale perché questo non viene ritenuto un elemento di prova sufficiente.