L’inchiesta “dossieraggio” e gli accessi abusivi nelle banche dati portano alla luce un fatto di cui tutti siamo più o meno consapevoli, ma su cui preferiamo sorvolare per quieto vivere. Una quantità sterminata di dati personalissimi e sensibili “vive” nei database pubblici e privati; in teoria, almeno per quelli pubblici, dovrebbe esserci una garanzia di sicurezza, ma nella pratica, come sta emergendo, nessuno ci può garantire che questi dati siano impermeabili. Sono dati che hanno un valore economico aggregato, ma che si prestano a un’infinità di usi economici e politici.



Mentre si discute di questo scandalo continua un processo destinato ad aumentare il numero di dati contenuti nei database; queste informazioni assumono una profondità e una capillarità sterminata. Oggi, per esempio, si discute di introdurre una valuta digitale che consentirebbe potenzialmente di ricostruire tutta la storia del singolo euro speso e di associare nomi e cognomi che via via l’hanno “toccato” dalla sua emissione fino all’ultimo punto in cui è stato usato. La biometria e i documenti “digitali” contribuiscono ad alimentare questo processo.



La prima questione è quindi quella di garantire che questi dati non siano accessibili a terzi; su questo verte la discussione di questi giorni. C’è però una seconda questione a monte e non meno importante e cioè fino a che punto si voglia dare ai Governi l’accesso a queste informazioni che sono potenzialmente in grado di rendere il cittadino inerme. Ci si deve chiedere in che misura ci si possa fidare non solo della capacità dei Governi di tutelare queste informazioni da accessi abusivi, ma anche degli stessi Governi. Più database privati, da un certo punto di vista, sono meglio di un unico database “governativo”. Una volta che i dati ci sono e le informazioni vengono raccolte nessuno può scartare l’ipotesi che la pretesa dei Governi diventi ingiustificata. Il potere che danno sulla vita dei singoli e dei gruppi, infatti, è potenzialmente sterminato; passare da una semplice conoscenza di cose che non si dovrebbe sapere all’uso attivo di certe informazioni è un passo breve.



Gli enti pubblici vengono esposti a una tentazione quasi irresistibile che prende la forma di un controllo capillare sulla vita delle persone. Ci si dovrebbe chiedere, finché c’è tempo, se i guadagni di tempo o economici, pensiamo alla valuta digitale, valgano il rischio che le libertà di tutti corrono. Una volta che le decisioni vengono prese tornare indietro è impossibile e il danno è fatto. Un uso improprio a tutti i livelli sia da parte di soggetti privati che di soggetti “pubblici” è un rischio reale; c’è una linea di convenienza e risparmio oltre la quale è meglio non andare per evitare di consegnare la propria vita ai “database” e a chi li gestisce. Chiunque essi siano.

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