Se dalla Corte dei Conti è giunto martedì un richiamo a “garantire un percorso di riequilibrio dei conti e un graduale rientro del rapporto debito/Pil”, dall’Europa è arrivata la conferma che questo percorso dovrà essere intrapreso senza troppo indugi seguendo una “traiettoria tecnica” quadriennale (eventualmente estendibile a sette anni) che la Commissione indicherà agli Stati membri entro il 21 giugno sulla base della nuove regole del Patto di stabilità, che sono state oggetto di un breve ma necessario negoziato tra Parlamento e Consiglio europeo la scorsa settimana. Secondo Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «è ancora possibile fare in modo che l’obiettivo centrale di queste nuove regole sia la convergenza della vita economica dell’Europa, che dovrebbe essere l’essenza stessa del Patto di stabilità».



In che modo?

Bisogna perseguire un obiettivo quantificabile che può rappresentare un elemento davvero propulsivo per l’economia: l’aumento della produttività. In questo modo, infatti, sarebbe possibile poter distribuire risorse, via salari, alle famiglie per i consumi senza provocare eventuali squilibri inflazionistici, visto che aumenterebbe anche l’offerta di prodotti. Aumentare la produttività porterebbe benefici anche alle imprese, che potrebbero mettere in campo maggiori investimenti. Tramite la crescita di produttività, salari e investimenti inevitabilmente si ridurrebbero i divari economici tra i Paesi europei.



Secondo lei, sarebbe possibile far entrare questo obiettivo nei piani a 4-7 anni che Commissione europea e singoli Paesi membri dovranno concordare?

L’idea è questa. Mi rendo conto che gli spazi sono stretti, ma occorre anche dire che dietro un traguardo contabile che può apparire rigoroso possono esserci anche mezzi ragionevoli per raggiungerlo. Certo è che dato che la prima mossa su questi piani spetta alla Commissione, deve essere innanzitutto quest’ultima a esserne cosciente.

Occorre, dunque, una Commissione che abbia una certa visione economica, che riconosca, per esempio, che il miglioramento dei conti pubblici si ottiene con una maggiore crescita…



Sì, del resto la Commissione può avere influenza nell’orientare la politica fiscale. E a proposito di fisco spero che prima o poi si affronti anche una questione di equità dettata dal fatto che ci sono piccoli Paesi all’interno dell’Ue che rappresentano dei “paradisi fiscali”, sottraendo gettito ad altri.

Non sarebbe meglio che la prima “traiettoria tecnica” per i prossimi anni venisse definita dalla nuova Commissione europea anziché da quella uscente?

Penso ci siano degli obiettivi di fondo, di unità, che dovrebbero trascendere gli schieramenti politici. Spero in ogni caso che sia l’attuale Commissione che la prossima possano favorire un coordinamento tra la politica fiscale e quella monetaria.

A proposito di politica monetaria, il bollettino della Bce diffuso settimana scorsa evidenzia che le imprese più vulnerabili dal punto di vista finanziario sono quelle tedesche e italiane. Questo anche per via degli alti tassi di interesse della stessa Bce.

La Bce ha come obiettivo fondamentale la riduzione dell’inflazione, ma per raggiungerlo la via più saggia e anche più efficace passa dall’aumento della produttività. È, quindi, fondamentale che politica monetaria e fiscale dialoghino perché ciò avvenga.

Professore, sostanzialmente lei spera che “rinsaviscano” sia la Commissione che la Bce…

Guardi, il 2024, anno con elezioni cruciali, a partire dalle presidenziali americane, dovrebbe essere il momento più adatto per tornare allo spirito dei padri fondatori dell’Ue ed evitare che una mossa sbagliata o intempestiva, anche dall’esterno, possa metterne a rischio la sopravvivenza.

(Lorenzo Torrisi)

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