Gli italiani vanno in vacanza dopo un anno in cui hanno lavorato sodo. L’economia cresce anche se a passo più lento. Le fabbriche hanno continuato a tirare più per le esportazioni che per il mercato interno. Il turismo sembra dare ancora un buon contributo alla congiuntura anche se bisogna stare con i piedi per terra, lasciando perdere le rodomontate sul petrolio degli italiani, perché l’industria turistica rappresenta annessi e connessi tra il 10% e il 15% del Pil e potrebbe fare meglio: siamo solo tra il terzo e il quarto posto in Europa, mentre la manifattura è la numero due dopo la Germania. Il dibattito pubblico, quello politico e quello mediatico, sembra quasi ignorarlo, mentre la questione più importante da affrontare riguarda proprio l’industria manifatturiera.
Il buon andamento dell’economia ha prodotto anche un sovrappiù di entrate fiscali che rende meno difficile la legge di bilancio per il prossimo anno: non dovrebbe esserci nessuna stretta, né una manovra aggiuntiva. Se le cose restano così, sarà possibile al Governo confermare gli impegni più importanti come la riduzione del fiscal drag e l’anticipo di riforma fiscale. Attenzione, non c’è grasso che cola, bisogna sempre procedere con prudenza e grande attenzione. Il Superbonus resta una mina vagante. E non sappiamo se, come e quando la Banca centrale europea ridurrà ancora i tassi d’interesse. Molto dipende dall’inflazione.
Gli ultimi dati mostrano una leggera ripresa. A luglio l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (al lordo dei tabacchi) ha registrato un aumento dello 0,5% su base mensile e un incremento dell’1,3% su base annua (come nel mese precedente); i dati sono stati superiori al consensus degli analisti, ma l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è rimasta stabile a +1,9%.
I prezzi non stanno scendendo in assoluto, però dall’inizio dello scorso anno la febbre è in continua discesa. L’inflazione pesa sul tenore di vita perché i salari e in generale i redditi da lavoro non hanno tenuto il passo, però tutti gli indicatori da quelli dell’Istat a quelli della Banca d’Italia non mostrano un impoverimento delle famiglie. Possiamo anche chiamarla la faccia buona della medaglia e non va sottovalutata. Se vogliamo capire come sta l’economia italiana dobbiamo sfuggire sia al pessimismo tendenzioso dell’opposizione secondo la quale tutto va male, sia all’ottimismo propagandistico del Governo secondo il quale è solo grazie a lui che l’Italia va meglio della Germania e della Francia. Dimenticando il vero boom della Spagna e che il trend italiano è cominciato con il Governo Draghi.
Alla ripresa dopo le ferie d’agosto, che rappresenta il vero inizio dell’anno in economia, bisognerà sciogliere due nodi molto ingarbugliati che si collegano l’uno con l’altro: la politica di bilancio e la riconversione industriale. Della prima si parla in abbondanza (e lo abbiamo fatto anche noi), la seconda invece non riceve la necessaria attenzione. Gli ultimi dati sulla produzione mostrano che a giugno è cresciuta dello 0,5% sul mese precedente, meglio delle attese, ma è scesa del 2,6% rispetto al giugno 2023 e ha un trend negativo da ben 17 mesi. A trascinarla in basso sono due settori chiave: il tessile-abbigliamento (-10%) e ancor più i mezzi di trasporto (-13%), insomma la filiera dell’automotive, dalla produzione di auto negli stabilimenti nazionali, cioè soprattutto quelli del gruppo Stellantis, alla componentistica. Se paragoniamo il dato con un anno prima, la caduta è addirittura del 36%.
Depurando le polemiche da tutto ciò che riempie i giornali e attizza le dichiarazioni dei ministri, non c’è dubbio che la crisi della Stellantis è molto seria. Anche tenendo conto che l’intero mondo dell’auto in Europa è in difficoltà sotto l’incalzare della concorrenza cinese, non c’è dubbio che il gruppo nato dal matrimonio tra Fiat-Chrysler e Peugeot-Citroën-Opel ha commesso troppi errori. E la responsabilità ricade sul top manager, su Carlos Tavares com’è giusto che sia. Gran tagliatore di rami e di teste, una tattica grazie alla quale ha rimesso in piedi la Peugeot, non si sta rivelando abbastanza bravo nel produrre e lanciare nuove vetture competitive. Sostiene di avere troppi marchi non produttivi, forse è vero, il gruppo è un patchwork di aziende che non si sono integrate.
L’altro bubbone industriale si chiama Ilva. I giornali sono pieni di dichiarazioni che annunciano grandi industriali interessati a intervenire, ma finora non si è visto nulla di concreto. Aspettiamo. Può darsi che l’asso salti fuori dalla manica. Si evoca il caso ITA, ma la Lufthansa era in stand-by già da quasi due anni prima di chiudere l’accordo.
La questione manifatturiera riguarda l’insieme dell’industria italiana a cominciare da quella medio-piccola che rappresenta la base del sistema e ha bisogno di essere accompagnata nella transizione digitale ed energetica. Industria 4.0 ha funzionato bene, ora c’è Industria 5.0 che va finanziata (e ciò rimanda alla politica di bilancio). Tuttavia, una indagine della Porsche consulting ha messo in rilievo che le imprese italiane hanno investito in macchine e impianti più di quelle tedesche, ma in modo meno efficiente. Forse proprio questo è il nocciolo della questione manifatturiera che pone seri interrogativi agli imprenditori, ai sindacati e non solo al Governo.
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