È passato più di un anno da quando la Federal Reserve ha dato il via alla stretta monetaria per contrastare l’inflazione, mentre la Bce ha atteso fino a luglio del 2022 per cominciare a rialzare i tassi. Tuttavia, il target inflazionistico del 2%, sia negli Stati Uniti che nell’Eurozona, appare ancora lontano. Per Mario DeaglioProfessore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «le Banche centrali stanno utilizzando una medicina tradizionale – il rialzo dei tassi – che elimina parte dei sintomi, ma non cura il male – l’inflazione -, che quindi non scompare totalmente».



Come mai l’inflazione non scende come si spera?

Perché ci sono situazioni geopolitiche che stanno cambiando rapidamente, c’è una guerra in corso e le catene del valore hanno mostrato ancora recentemente dei segnali di grande difficoltà. Per esempio, in Italia non se n’è parlato, ma il transito attraverso il Canale di Panama è rallentato a causa della siccità, che ha ridotto i livelli dell’acqua nei laghi artificiali che alimentano il canale. Le conseguenze sono che alcune navi non possono transitare e che le tariffe per l’attraversamento sono aumentate.



Il tutto quando le operazioni di attracco e scarico nei porti di Los Angeles e Long Beach sono rallentate da una forma di protesta dei lavoratori.

Sì e ci sono anche scioperi a singhiozzo nei trasporti su rotaia sulla costa occidentale degli Stati Uniti che rallentano il movimento delle merci. Di fronte a questo quadro che non aiuta ad aumentare l’offerta di beni e servizi e che contribuisce, quindi, al rialzo dei prezzi, i tassi di interesse non possono nulla. Intendiamoci, l’incremento dei tassi qualcosa fa, l’inflazione rallenta, ma non si arriva facilmente al target del 2%.



Finora ha parlato di fattori che incidono sui prezzi dei beni soprattutto negli Stati Uniti. Cosa rende invece difficile la discesa dell’inflazione in Europa?

Le difficoltà delle catene del valore globale incidono meno che negli Stati Uniti, ma l’Europa ha una guerra alle sue porte che, tra le altre cose, comporta un aumento della spesa pubblica, perché le armi che vengono fornite a Kiev vengono pagate, anche in forma indiretta tramite la Nato, dagli Stati europei.

Qual è la medicina giusta contro questa inflazione che ha natura diversa negli Stati Uniti e in Europa?

A mio avviso occorre una diversa distribuzione della ricchezza e del reddito. Negli ultimi vent’anni c’è stata una concentrazione crescente di ricchezza, e quindi di reddito. Per fare un esempio, negli Stati Uniti un dirigente negli anni ’50 percepiva mediamente un reddito 20-40 volte superiore a quello di un impiegato medio. Adesso si è arrivati a 200-400 volte.

Come mai questa crescita esponenziale?

Principalmente è dovuta non tanto all’aumento della paga base dei dirigenti, ma a quella dei bonus. Recentemente c’è stato il caso di un’azienda informatica che ha destinato il 70% circa dei propri utili all’erogazione di bonus ai propri dirigenti. Va anche detto che spesso, non solo negli Stati Uniti, questi redditi elevati vengono investiti in strumenti finanziari molto complessi che non hanno molto contatto con l’economia reale.

Come si può cercare di distribuire meglio i redditi in Europa?

Lo strumento principale per farlo è la tassazione, tramite una modulazione delle aliquote che arrivi ad alti livelli per i redditi più elevati. Nell’Ue bisognerebbe cercare anche di avere un sistema fiscale un po’ più armonizzato, diverso da quello attuale per cui esistono dei “paradisi fiscali” come il Lussemburgo e l’Irlanda.

Le Banche centrali hanno contezza del fatto che le loro manovre sui tassi non sono totalmente efficaci contro l’inflazione?

Secondo me, non ne hanno molta contezza. La situazione sarebbe diversa se ci fosse un banchiere centrale come Ben Bernanke, che utilizzava diversi indicatori di economia reale, fra cui alcuni relativi ai trasporti marittimi, per capire meglio come stesse andando la congiuntura.

Le Banche centrali sanno che la loro azione è poco efficace contro l’inflazione, ma frena l’economia?

Il fatto è che in questo momento l’economia è in grado di riservare delle sorprese. Per esempio, in Italia non ha rallentato tanto e con l’estate non frenerà grazie all’andamento dei servizi e del turismo, nonostante il manifatturiero non stia brillando. Vedremo cosa accadrà dopo settembre e se arriverà la spinta del Pnrr.

Quel che dice sull’Italia è vero, ma l’Eurozona è già in recessione tecnica dopo il primo trimestre…

Sì, l’Eurozona è in una situazione più critica, in particolare la Germania. Probabilmente c’è anche una maggior difficoltà degli uffici studi, compresi quelli delle Banche centrali, a leggere le condizioni dell’economia: vuoi per i cambiamenti in corso, per esempio sul mercato del lavoro, vuoi per la repentina importanza assunta dai fattori geopolitici. Cosa accadrà all’economia europea, per esempio, dipenderà anche dall’andamento della guerra in Ucraina.

La Germania è in recessione tecnica, eppure dalla Bundesbank non arrivano richieste alla Bce di fermare il rialzo dei tassi: significa che la banca centrale tedesca guarda più all’inflazione che al Pil?

Credo di sì, è un’impronta culturale rimasta in Germania a seguito del primo dopoguerra, quando ci fu l’iperinflazione nella Repubblica di Weimar. Da allora il contrasto dell’inflazione è la priorità assoluta per i tedeschi.

(Lorenzo Torrisi)

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