In questo momento di delirio drammatico e surreale della politica italiana, che coinvolge, in toni diversi, altre democrazie, c’è anche chi non si arrende e continua a studiare, ad analizzare e a cercare di prospettare non solo una difesa, ma un rilancio della democrazia.

Siamo alla vigilia (oltre a tutto immersi in una pandemia durissima) di una settimana con giorni veramente decisivi e complicati. Martedì prossimo al Senato italiano si conteranno con il fiato sospeso i voti sulla fiducia o sfiducia al Governo. Mercoledì, dall’altra parte dell’Atlantico, ci sarà l’insediamento alla Casa Bianca del nuovo Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in un’atmosfera blindata, con 20mila soldati a presidiare il luogo storico del giuramento.



Il contesto nazionale e internazionale è questo. Quindi è stato importante che la Fondazione per la Sussidiarietà, giovedì 14 gennaio, abbia organizzato e svolto un dibattito di alto livello fra tre protagonisti della vita culturale, istituzionale e politica italiana come Giuliano Amato, Luca Antonini e Stefano Zamagni, presentati e interrogati da una costituzionalista come Lorenza Violini. Ed è stato importante che Giorgio Vittadini, il Presidente della Fondazione, abbia tratto delle conclusioni interessanti di quello che ha creato anni fa con la Fondazione. Il titolo del dibattito era “Sussidiarietà: la democrazia possibile”.



Non a caso Lorenza Violini, introducendo il dibattito ha parlato di “tema bruciante”, perché riguarda la crisi, ormai da tutti individuata e sofferta, della democrazia. Le crisi della democrazia sono ricorrenti, ha aggiunto Lorenza Violini, ma dopo le crisi c’è stato spesso, anzi quasi sempre, una rinascita, una ripresa e anche alcuni elementi di miglioramento. Ancora: la democrazia non vive solo di voti, ma anche di pesi e contrappesi, di custodi costituzionali, di anticorpi alla tirannia della maggioranza, di giustizia sociale e soprattutto di una società che vive attraverso le associazioni di persone, che sono all’origine stessa della società, del mercato e dello Stato stesso.



Quello a cui si assiste oggi è un arretramento di queste formazioni sociali nei confronti dell’amministrazione che sembra prerogativa solo dello Stato, in contrasto con il principio di sussidiarietà che è ormai il cardine principale di una società democratica, quello che è stato ribadito nel 2020 con la sentenza 131 della Corte costituzionale, che ha chiarito, in modo storico, la funzione del principio di sussidiarietà, il ruolo decisivo del cosiddetto Terzo settore, l’insostituibile necessità delle formazioni sociali, della loro vitalità per una amministrazione condivisa del potere, la base di una democrazia moderna.

Se in uno dei suoi ultimi libri, lo storico anglo-americano Robert Conquest aveva indicato la mancanza di sussidiarietà nell’Unione europea appena nata, il professor Stefano Zamagni, docente di economia e politica economica, ha rifatto puntualmente, e con più precisione, la storia del principio di sussidiarietà. Zamagni ha specificato che la sentenza 131 è uno di quei fatti storici che può far uscire la democrazia dalla crisi in cui si trova e può migliorarla, farla uscire migliore da quando è entrata in crisi.

In effetti siamo di fronte a un frutto sbagliato, quello di un dualismo tra Stato e mercato. Ora un simile modello bipolare non riesce a funzionare. Sembra che finalmente se ne sia preso coscienza e che il vero nodo positivo sia quello di basarsi su un sistema tripolare: Stato, mercato, società civile organizzata o comunità.

Al momento ci si domanda: perché questo terzo pilastro stenta a essere riconosciuto? Da più di un secolo il principio di sussidiarietà in Italia è stato quasi represso, confuso e paradossalmente anche messo in contrapposizione con la solidarietà, mentre tutti sanno che la sussidiarietà contempla la solidarietà, non confondendola con l’assistenzialismo.

Ma Zamagni fa un passo in avanti, ripercorrendo la storia e rivendicando, con date precise, tra il 1100 e il 1200, la nascita della sussidiarietà, delle comunità che oggi formano il Terzo settore, proprio in Italia, dove oggi sembrano dimenticati. Sembra un paradosso (errato) che alla fine siano stati gli anglosassoni che hanno scoperto il non profit nel Settecento e nell’Ottocento e siano, addirittura, ritenuti i creatori del terzo settore.

Infine, dopo le precisazioni storiche, la sostanza del discorso del Zamagni è che il sistema bipolare, Stato e mercato. non regge più e sconfina nel neostatalismo o nel neoliberismo, mentre il sistema tripolare con il recupero del Terzo settore e della cultura sussidiaria ridarebbe slancio alla democrazia. Senza enfasi, si può affermare che la sola iniziativa della Fondazione per la sussidiarietà è sinonimo di sensibilità per superare la crisi di questo periodo storico della democrazia.

Il giudice costituzionale Giuliano Amato, con una lunga carriera politica alle spalle, parla dopo Zamagni di sclerosi della formazioni intermedie. Cita Costantino Mortati, che parlava degli interessi dei singoli che attraverso appunto le formazioni intermedie si educavano agli interessi generali e al bene comune. È l’educazione progressiva al bene comune che, alla fine, dalle associazioni intermedie porta alla creazione della classe dirigente. Oggi questa possibilità può venire solo dal Terzo settore. La debolezza delle nostre democrazie, dice ancora Amato, deriva dal fatto che la classe dirigente in questo periodo non ha conosciuto la strada dell’educazione all’interesse collettivo. In definitiva con la sclerosi delle formazioni intermedie, dei partiti soprattutto, il Terzo settore oggi deve assumersi una responsabilità in più. 

Con un paradosso, Amato dice: volontariato e Terzo settore si occupano dei deboli, oggi fra questi c’è la democrazia. Questo fatto, secondo Amato, deve essere considerato anche a livello europeo: in una democrazia il momento elettorale è importante, ma ugualmente decisivo è l’organizzazione del tessuto sociale.

Luca Antonini giudice costituzionale, relatore nella sentenza 131 e docente di diritto costituzionale, parte da una considerazione diversa. Antonini cita l’antropologia negativa sia di Hobbes, dove l’uomo è un lupo per l’altro, e Rousseau, dove l’uomo è buono ma un selvaggio rovinato dalle istituzioni. Ma c’è anche l’antropologia positiva che ha sottolineato Agostino, vedendo come nasce la società. Non è, sia per Agostino che per altri pensatori, che un’antropologia positiva non abbia un peso rilevante. Ce l’ha eccome. Perché partendo da questa visione c’è un diverso modo di concepire le regole. In un’antropologia positiva il cittadino non è un controllato, ma una risorsa. E\ il rovesciamento di chi ha un’immagine hobbesiana dell’uomo.

Ora nel welfare, ad esempio, non esiste solo una concezione pubblica o privata , ma c’è un concetto nuovo da stabilire: la concezione hobbesiana porta al potere, quella della cultura sussidiaria fa leva sull’educazione. Questa antropologia positiva, questa socialità pervade il lavoro della Costituzione italiana da molti anni, dove si valorizza il principio di sussidiarietà anche se per lungo tempo è rimasto sulla carta. Ora la cultura sussidiaria viene ripresa e valorizzata con il codice del Terzo settore. Qui entra dentro il concetto di amministrazione condivisa, proprio con la sentenza 131 e così siamo nel cuore della sussidiarietà, che è la svolta che può rilanciare una grande democrazia.

È Giorgio Vittadini, il Presidente della Fondazione, a tirare le conclusioni. Parte con una domanda: perché la sussidiarietà era stata messa ai margini? Quindi Vittadini non può che essere soddisfatto da un dibattito che non relega la sussidiarietà nella dimenticanza, nelle realtà superflue, ma eleva la sussidiarietà a soggetto di un sistema tripolare, accanto a Stato e mercato, che può scongiurare la crisi della democrazia. E Vittadini rilancia e sottolinea anche l’originalità storica italiana, poi dimenticata. Certamente non dalla Fondazione!

La sussidiarietà, dice Vittadini, viene prima dello stesso Stato e del mercato. È una concezione antropologica che viene prima di tutto. Noi non abbiamo capito per lungo tempo che la razionalità è quella di un uomo positivo. Adesso il clima è cambiato: si parla di un’altra razionalità, di sostenibilità, di un ambiente da tutelare.

Quindi Vittadini si chiede: a che cosa serve il corpo intermedio? Serve a educare a un ideale, a un desiderio non ridotto. Serve a educare a un bene comune. Probabilmente una concezione che si basa sull’antropologia positiva, sulla cultura sussidiaria ancora più forte, con un uomo positivo e relazionale può essere la sfida del futuro e il rimedio alla crisi della democrazia.