Caro direttore,
non vi possono essere dubbi o giustificazioni sulla natura di “crimini di guerra” dei terribili massacri di civili che stanno punteggiando la guerra ucraina. Né può essere contestata la pretesa/promessa da parte del Presidente Usa Joe Biden di sottoporre i responsabili a un giusto processo.



La prospettiva-base rimane un giudizio presso la Corte penale internazionale dell’Aja, sulla base di un diritto esistente e operante da decenni. Se questo effettivamente accadrà  – come nel passaggio fondativo di Norimberga al termine della Seconda guerra mondiale – dipenderà naturalmente dal corso degli eventi.  



Il dittatore iracheno Saddam Hussein fu catturato nel 2003, al termine dell’invasione militare americana. Saddam non fu tuttavia processato all’Aja: fu a lungo interrogati dagli statunitensi, ma infine consegnato al nuovo Governo di Baghdad. Quest’ultimo lo incriminò e condannò a morte per una strage di civili avvenuta nel 1982, durante un tentativo sciita di rivolta contro il regime “ba’ath”.  Nonostante l'”Hitler della Mesopotamia” avesse trascorso la vita a condurre guerre (anzitutto quella contro l’Iran, seguita dall’invasione del Kuwait, scintilla della “prima guerra del Golfo”), fu infine giudicato colpevole di “crimini contro l’umanità”: per un reato internazionale, commesso però in tempo di pace all’interno del Paese di cui era dittatore, crimine accertato e sentenziato da un tribunale speciale nazionale.



I “crimini contro l’umanità” sono stati individuati – assieme ai “crimini contro la pace” – come figura penale internazionale perseguibile dalla Carta di Londra del 1945, prodromica sia a Norimberga, sia al successivo processo di Tokyo contro gli ex governanti giapponesi. Quasi ottant’anni dopo sembra lecito porre come spunto di riflessione – politico-culturale, prima che giuridica – una verifica della nozione di “crimine globale” (al netto di quella suscitata anche negli ultimi giorni dalla comunità ebraica internazionale sull’uso appropriato delle parole “olocausto” e “genocidio”).

Ancora nel ventesimo secolo era la guerra convenzionale la fonte e la sede prima e principale di grandi “abomini umani” che l’etica politica – su spinta principale delle liberaldemocrazie – ha finito per giudicare meritevoli di esame processuale internazionale ed eventuale punizione legale per singole responsabilità. Le altre due piaghe ataviche per l’umanità – la carestia e la “peste” – non sono mai state considerate strettamente attribuibili alla consapevole volontà criminale dei leader.  E non lo sembrano neppure oggi:a valle di almeno due passaggi non secondari nella storia mondiale recente.

Il primo è la crisi finanziaria deflagrata nel 2008: sulla quale è inutile soffermarsi in cifra sui danni provocati a miliardi di abitanti del pianeta. Le bancarotte degli intermediari finanziari e i contraccolpi economici hanno provocato ovunque enormi distruzioni di risparmio (soprattutto quello accumulato dalle famiglie), di credito alle imprese e quindi di reddito, occupazione, gettito fiscale, welfare pubblico. L'”esplosione nucleare” provocata a catena nel sistema economico finanziario globale dal crack di Lehman Brothers ha letteralmente ucciso umani (basti pensare, in termini simbolici, ai suicidi) e ha – più che virtualmente – annientato milioni e milioni di vite. Quelle di chi – anche in assenza di guerra – ha perso la casa o il lavoro, la sua impresa o tutti i mezzi accumulati, per la pensioni o gli studi dei figli.

Vi sono poche incertezze sulle responsabilità individuali di almeno due categorie di soggetti: i manager delle grandi istituzioni finanziarie e i tecnocrati allora in carica presso le diverse autorità di vigilanza. Per anni l’operatività dei grandi player finanziari ha potuto sistematicamente violare ogni standard di sana e prudente gestione fissati dalla regolamentazione e vigilati dalle authority. La stabilità dei mercati finanziari (qualcosa di assimilabile alla “pace”) è stata messa in pericolo e quindi mandata in frantumi da condotte consapevoli: utilizzando risparmi e fondi previdenziali affidati da miliardi di persone, Eppure quelle responsabilità non sono mai state oggetto di alcuna indagine “criminale”: neppure negli Usa, sulla base di un pur consolidato diritto penale societario.

Esemplare il destino del Ceo di Lehman Brothers, Dick Fuld: mai sottoposto a procedimenti penali per la “madre di tutte le bancarotte”. Avvisi di garanzia inizialmente emessi dagli “attorney”di Manhattan non hanno avuto alcun seguito. Fuld è stato interrogato da una commissione d’inchiesta del Congresso, che tuttavia non gli ha impedito nemmeno di tentare una ripartenza nella consulenza finanziaria. Negli anni successivi Fuld ha avuto tutto il tempo di indugiare – da uomo libero e incensurato – nella polemica personale contro il rivale storico Henry Paulson: il capo di Goldman Sachs che nel 2006 il Presidente (repubblicano) George Bush aveva chiamato al Tesoro per arginare la crisi della finanza derivata, ormai fuori controllo. Dall’autunno 2008 Paulson deve a sua volta difendersi dalle accuse (politico-mediatiche, mai giudiziarie) di aver deciso da Segretario al Tesoro il default dell’ex concorrente Lehman Brothers cedendo anche a motivazioni personali o ad altri interessi strumentali, anteponendoli alla valutazione dei rischi gravissimi di un prevedibile collasso dei mercati.

Il successore di Paulson al Tesoro è stato d’altronde Tim Geithner: che nel cruciale biennio dei fallimenti di Bear Stearns e Lehman era stato il loro primo vigilante come capo della Fed di New York. A volerlo nella nuova Amministrazione (democratica) di Washington sono stati allora il presidente neo-eletto Barack Obama e il suo vice Joe Biden. Durante gli otto anni di Obama alla Casa Bianca nessun banchiere di Wall Street ha avuto la minima noia giudiziaria: dietro le sbarre sono finite solo poche figure folkloristiche come il gestore Bernie Madoff. Alcuni big in carica nel 2008 – come il Ceo di JPMorganChase, Jamie Dimon – sono ancora ai loro posti.  

Nel frattempo la grande pestilenza del ventunesimo secolo – tuttora in corso – ha avuto origine in Cina nell’autunno del 2019. Quando e come il Covid sia comparso e abbia iniziato a propagarsi su tutto il pianeta non è mai stato chiarito ed è tuttora oggetto di narrazioni e teorie contrapposte. Le autorità cinesi non hanno mai autorizzato un’inchiesta internazionale indipendente: che avrebbe potuto dettagliare o smentire, ad esempio, quali studi batteriologici fossero in corso in un istituto di ricerca di Wuhan. Sono comunque più che fondati, ormai, i sospetti di gravi silenzi e disinformazioni da parte di Pechino riguardo il primo focolaio della pandemia: che da allora – secondo le statistiche ufficiali – ha contagiato mezzo miliardo di terrestri, uccidendone 6,4 milioni. Di questi – sempre secondo le fonti ufficiali – oltre 1,7 sono morti in Europa (160mila in Italia), un milione negli Usa, più di mezzo milione sia in India che in Brasile. In Russia 371mila, in Ucraina 108mila. In Cina – dove abita un abitante su cinque del pianeta – di Covid sarebbero invece morte poche migliaia di persone. Nel solo 2020, per effetto della pandemia, il prodotto loro globale è regredito (ufficialmente) di 2.400 miliardi di dollari (-3%). Nell’Ue il crollo annuale del Pil è stato superiore al 6%. Molti milioni di imprese hanno chiuso in tutto il mondo, cancellando a leva posti di lavoro esistenti o potenziali. Le finanze pubbliche si sono dissestate ovunque.

L’instabilità globale indotta dal Covid è giudicata da più di un osservatore una non trascurabile concausa di scenario dell’aggressione russa dell’Ucraina. Putin avrebbe giocato d’anticipo – sfruttando il contenzioso ucraino come pretesto geopolitico – per sfuggire in avanti al tendenziale declino del suo Paese nel “reset” geocompetitivo innescato dalla pandemia. Il potenziale bellico russo odierno – convenzionale e nucleare – rischiava di diventare via via sempre meno sostenibile e quindi meno rilevante per un Paese “nano economico” già prima del Covid. Analogamente, l’arma del gas – soprattutto contro l’Europa – si presentava efficace oggi, anzi: al massimo dell’efficacia quando il gasdotto Nord Stream 2 è stato ultimato nel 2021, pronto per solidificare la dipendenza euro-tedesca dalle forniture russe. Una svolta che infatti il neo-eletto Biden ha subito contrastato: forse accelerando così al Cremlino una reazione ora apparentemente “senza ritorno”.

Se la genesi e la gestione della pandemia possa configurare elementi di specifico “crimine globale” – da parte del Governo di Pechino o di un’istituzione internazionale come l’Oms – spetta eventualmente ai giuristi studiarlo, ad autorità sovrane trasformarlo in norme applicabili e ad apposite magistrature giudicarlo. I fatti dicono che la pandemia ha prodotto (al pari del crollo di Wall Street) un terremoto planetario paragonabile a quella di una guerra mondiale (una guerra batteriologica). E mentre sul fronte “global-ucraino” iniziano i primi attacchi dimostrativi di “cyberguerra”, i timori si orientano – anche – verso il settore finanziario. Cosa accadrebbe se gli hacker russi (o cinesi) polverizzassero le reti bancarie digitali che reggono le economie occidentali? Sarebbero anche loro “criminali di guerra”? Più o meno dei manager Lehman e dei loro cattivi vigilanti? Più o meno degli scienziati che si fossero lasciati sfuggire il Covid e dei burocrati che avessero taciuto e negato?

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI