Fabbriche di auto elettriche cinesi in Italia. Potrebbe essere questo uno dei contenuti del Memorandum firmato dai due Paesi nei giorni della visita della presidente del Consiglio Meloni in Cina. Il documento, spiega Pierluigi Bonora, giornalista de Il Giornale, esperto del settore automobilistico, non farebbe altro che mettere nero su bianco ciò che il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso va dicendo da tempo, cioè, appunto, che l’Italia è disponibile ad accogliere siti produttivi di case automobilistiche cinesi.



Stabilimenti che potrebbero insediarsi anche rilevando parte di siti industriali di Stellantis, con l’impegno di far lavorare l’indotto italiano. In linea di massima lì potrebbero essere costruiti anche altri tipi di vetture, quelle ibride ad esempio: il mercato delle elettriche è in flessione, in Germania le aziende annunciano migliaia di tagli e la stessa BMW dice che occorre rivedere i piani: di fronte a richieste diverse da parte della clientela anche i cinesi potrebbero cambiare direzione. La svolta green teorizzata dalla UE, con la decisione di produrre solo auto elettriche a partire dal 2035, non sta trovando conferme nella realtà. E il calo non riguarda solo l’Europa. Negli USA, se dovesse vincere Trump, sparirebbero tutti gli incentivi per l’elettrico introdotti da Biden: sarebbe un altro elemento che cambierebbe faccia al mercato mondiale del settore automotive.



Qual è il senso del Memorandum Italia-Cina sulle auto elettriche?

È l’ufficializzazione della proposta avanzata da Urso di convincere brand cinesi dell’automotive a produrre in Italia, con la condizione obbligatoria di far lavorare l’indotto italiano. Il ministro lo ha ribadito in occasione della presentazione dei conti di Stellantis, quando ha parlato di un nuovo piano di incentivi, con sostegni a chi produrrà in Italia, riferendosi alla produzione completa delle auto e non al semplice assemblaggio. Lo stabilimento di Melfi di Stellantis sarebbe stato messo sotto osservazione dal colosso cinese Chery. A questo sito industriale sono già stati assegnati dei modelli, ma non ha un futuro ben chiaro.



Quindi i cinesi potrebbero rilevare degli stabilimenti che ci sono già?

Prendiamo Mirafiori: è uno spazio immenso, potrebbero realizzarci un sito produttivo. Oppure potrebbero rilevare Melfi, con il conseguente spostamento di ciò che viene prodotto nello stabilimento lucano a Torino. Gli stabilimenti Stellantis sono diversi, oltre ai due citati anche Pomigliano, Cassino, Modena. Per fare 500 mila macchine sono tanti.

La realizzazione di una fabbrica cinese sul nostro territorio permetterebbe di salvare anche l’indotto?

Contribuirebbe a salvarlo. Il nostro indotto lavora sempre all’estero, ma la situazione continua a essere incerta. L’Italia potrebbe diventare un grande hub dell’automotive in Europa.

Un hub dell’automotive cinese?

Se i cinesi arrivano qui, ricevono sostegni e si trovano bene, l’Italia potrebbe diventare una base europea per le loro auto. Bisogna sfruttare la loro presenza per creare opportunità occupazionali e sviluppo. I cinesi stanno valutando cosa fare, stanno aspettando una proposta allettante. La Meloni parla di auto elettriche, anche se non sono molto amate da questo governo. Ma se le auto elettriche non funzionano sul mercato, i cinesi potrebbero arrivare anche con plug-in e ibride. Il mercato europeo, d’altra parte, sulle elettriche già adesso comincia un po’ a frenare.

In Germania ZF Friedrichshafen, terzo produttore di auto elettriche, ha annunciato il taglio di 14 mila posti di lavoro, le vendite sono calate del 16%, tanto che più della metà delle case automobilistiche prevede di ridurre il personale nel prossimo lustro. Una regola alla quale non sfuggono Volkswagen, Continental e Bosch. Bisogna rivedere i piani di tutto il settore?

L’amministratore delegato della BMW Oliver Zipse ha detto che ci vuole un ripensamento generale. Quando sento parlare di tagli, penso che siamo solo all’inizio: manderei il conto alla Commissione europea, alla Von der Leyen. Soprattutto ora che il voto europeo non è stato rispettato ed è stato riproposto il Green Deal, per non perdere l’appoggio dei Verdi alla maggioranza.

Si parla di tagli in Germania ma anche da altre parti non si sta meglio?

Senza andare troppo lontano basta guardare Stellantis: il piano presentato per il 2030 prevede di raggiungere, per le vetture elettriche, il 100% del mix di vendite in Europa e il 50% negli USA. Ma non credo che riuscirà a raggiungere l’obiettivo.

Ford, GM e Tesla hanno fatto registrare dei ribassi azionari, la crisi del mercato delle elettriche è anche a livello mondiale?

Il capo di General Motors, Mary Teresa Barra, ha detto che l’obiettivo fissato di realizzare un milione di veicoli elettrici non sarà raggiunto. In questi giorni gli analisti penalizzano il titolo Stellantis: si pagano visioni e strategie sbagliate da parte dei costruttori, che hanno seguito alla lettera un’imposizione della Commissione europea.

In America anche Biden ha puntato dritto sulle auto elettriche. Il piano potrà essere rivisto anche lì?

Trump ha già detto che, se verrà eletto, rivedrà tutto il piano di Biden. Il primo atto sarà di abolire i sussidi sulle auto elettriche. Una decisione che peserà sul mercato mondiale e che avrà riflessi sull’industria cinese: adesso i cinesi stanno producendo in Messico, al confine con gli USA, ma Trump ha fatto sapere che chiuderà le frontiere per le macchine che usciranno da questi stabilimenti. Potrebbero commercializzarle solo per il Sudamerica. Il discorso cambierebbe se le aziende del Dragone andassero a produrre negli Stati Uniti.

Di fronte alla prospettiva di migliaia di licenziamenti, la UE deve cambiare i suoi piani per produrre dal 2035 solo auto elettriche?

Deve prendere atto che il piano è fallito, lasciar perdere l’ideologia e guardare alla realtà dei fatti.

(Paolo Rossetti)

 

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