L’economia digitale sta influenzando in maniera rilevante l’evoluzione del mondo del lavoro così come la pandemia da Covid-19, che da marzo 2020 ha comportato un aumento del telelavoro, potenziando la crescita e l’impatto della digital economy.
È del tutto evidente che lo smart working, intendendo l’attività lavorativa impostata per obiettivi, è qui per restare. Per questo sarà necessario strutturare i processi organizzativi tenendo conto che si opererà sempre più con una matrice a rete, in cui ogni persona si interfaccerà con gli altri. Sarà infatti sempre meno semplice continuare a mantenere strutture fortemente gerarchiche, diventando necessario attuare modelli di collaborazione ancora più ampia all’interno delle organizzazioni.
Esistono questi presupposti di cultura organizzativa all’interno delle imprese? Sicuramente il modello Fordista è tramontato e al suo posto si sta sempre più affermando quello Collaborativo. Abbiamo bisogno di costituire un sodalizio all’interno delle organizzazioni, che leghi chi ha il compito non facile di “guidare” le imprese al proprio Capitale Umano attraverso una “purpose condivisa” degli obiettivi da raggiungere e la stima e fiducia reciproche. Ciò presuppone anche uno stare bene in azienda.
Andiamo più nel dettaglio di queste voci. Purpose condivisa: al posto di Vision e Mission, ora parliamo di Scopo di un’Impresa, ovvero la ragione primaria della sua esistenza e come questa influenza il rapporto con i suoi pubblici di riferimento. Avere una Visione Partecipata degli obiettivi con le proprie risorse umane vuol dire essere in grado di creare consenso. Infatti, in un modello organizzativo collaborativo, la comprensione e la condivisione sono alla base di un engagement efficace e di un progresso dell’impresa.
Stima e fiducia reciproca, tra colleghi e tra il top management e tutte le risorse umane, sono presupposti per una buona gestione aziendale. Il vero smart working non può prescindere dalla gestione per obiettivi e per la qualità del tempo lavorato. Per questo è necessario motivare i lavoratori, non sorvegliarli.
Negli ultimi decenni i livelli gerarchici si sono drasticamente ridotti, le funzioni di staff “asciugate” e la direzione si è spostata verso l’assegnazione di task complessi, vista la sempre più numerosa presenza di personale con alta formazione.
Sicuramente sarà necessario adeguare i sistemi di misurazione degli obiettivi anche attraverso un’analisi organizzativa basata sui dati, che sappia integrare l’autonomia del lavoratore di portare a termine un compito con la necessità di tenere traccia nei processi di cosa è stato fatto, per capire se è in linea con i livelli di servizio previsti. In questo campo sembra che una parte dell’imprenditoria non si sia ancora resa conto che il modo migliore per aumentare la produttività degli impiegati nel settore della conoscenza sia quello di motivarli e facilitare il loro lavoro con strumenti tecnologici.
La sfida organizzativa di governare organizzazioni complesse da tempo non è più infatti legata alla presenza fisica del personale. Nessun manager è in grado di valutare la produttività di un dipendente solo dal tempo che trascorre davanti allo schermo, anche se qualcuno continua a farlo.
Ultimo ma non ultimo, il tema del benessere in azienda. La chiave di volta è avere persone ingaggiate e soddisfatte, tenendo in considerazione una pluralità di bisogni: un bilanciamento casa-lavoro, un’adeguata retribuzione, un’attenta considerazione e attenzione al proprio benessere psico-fisico.
Lo stare “bene” di un lavoratore favorisce a sua volta lo stare bene in famiglia e nella propria comunità di riferimento. L’impresa ha quindi anche una responsabilità sociale da ottemperare, in linea con l’intenzione del legislatore, quando nell’acronimo ESG ha inserito la S di social.
Quello che ci aspetta nei prossimi decenni è quindi cambiare il nostro modo di lavorare per vivere meglio aumentando la nostra produttività. Sapranno le imprese cogliere questa sfida?
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