Non c’è bisogno di andare a cercare chissà dove buona musica rock, perché ce l’abbiamo nel cortile di casa. Chi conosce Omar Pedrini lo sa, gli altri colgano questa occasione per conoscere l’ex leader dei Timoria, una carriera quarantennale alle spalle e una freschezza invidiabile. Lo “zio” come lo chiamano, arriva al nuovo episodio solista dopo circa sei anni di silenzio, un periodo lungo dettato anche dai suoi problemi fisici: continue operazioni al cuore (cinque interventi chirurgici di cui quattro cardiovascolari), lunghi ricoveri in ospedale. Ma Omar ha un cuore “grande” da tutti i punti di vista ed è bello risentire la sua voce.



Si intitola Sospeso, una sorta di raffigurazione di se stesso forse, tra la vita e la morte, settimo album solista senza contare i tanti con i Timoria.

Un disco energico, forte, ottimista, con un tripudio di chitarre elettriche e acustiche in primo piano. Scritto e registrato tra la sua tenuta Buen Retiro in Toscana, da buon rocker contadino come ama definirsi, e il cuore storico della sua sempre amata Brescia, nonostante l’artista viva da 23 anni a Milano, prodotto con lo storico braccio destro Carlo Poddighe (anche coautore di alcuni brani) e suonato coralmente dalla ormai rodata Omar Pedrini Band.



Un disco che si apre in modo inaspettato, ma forse no per chi conosce il travaglio di questo uomo d’acciaio, vissuto negli ultimi anni, con una preghiera, Dolce Maria: “Ora c’è lei che stringe la sua mano nella mia”(…) “e prego te lungo la via c’è un mondo preda del denaro e della follia e il figlio tuo dolce Maria era un ragazzo quando l’hanno portato via (…) chi ha rubato i mei sogni dove sono i sogni e gli applausi e se Dio non ci fosse davvero sarà solo in questo mistero resta vicina Madre mia”. Un brano ritmato, serrato, scintillante, con in background un coro quasi monastico a reggere il tutto.

La giusta guerra è invece una slow ballad aperta da una chitarra desertica, che giunge dall’altra parte dell’oceano, di grande effetto. Poi via via prende il sopravvento la sua capacità di esprimere riff chitarristici sempre brillanti che pescano a piene mani dalla new vave, dai Television e da ambientazioni psichedeliche. Tutto il disco è una tavolozza che si allarga a toccare il grande orizzonte del rock degli ultimi anni: funk, rock garage, come in Diluvio universale, sporca, aggressiva, acida. Un pezzo che richiama quanto Pedrini aveva già anticipato nel 1994 con un disco dei Timoria (2020) dedicato profeticamente al disastro ambientale che oggi ci tocca tutti. “Faccio parte e ho rappresentato la X Generation, -racconta – la prima generazione sfigata. Noi si protestava duramente nelle piazze, ma vedendo le generazioni di oggi sono basito dall’indifferenza o peggio dall’intolleranza di molti nei confronti delle proteste, per altro pacifiche dei ragazzi dell’ultima generazione. Non capire e non assecondare le loro più che fondate paure e l’insicurezza in cui sono “sospesi” potrebbe portare in futuro a scontri generazionali peggiori e sicuramente più violenti. Se non stiamo tutti quanti attenti e non rinunceremo ad alcuni privilegi sarà un Diluvio Universale”.

A dimostrazione della sua grande cultura musicale, Pedrini nel riff iniziale di Col fiato sospeso richiama gli Urge Overkill nella loro splendida versione di Girl, You’ll be a woman soon di Neil Diamond. Una e unica è ancora new vave, riff di chitarra pulsante e implacabile, brano notturno che richiama certe cose di Lucio Battisti nella melodia.

Fresco cambia ancora ambientazione: una ballata aperta da un organo Hammond che ricorda le melodie dei Procol Harum. Mentre Finché è finita ha di nuovo un riff di chitarra sgargiante, ritmo incalzante, gran pezzo rock da stadio.

Un disco che scorre via veloce, come un viaggio in autostrada di notte, che ci riconcilia con il buon rock italiano e ci fa ritrovare un compagno di vita di cui sentivamo la mancanza.

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