SENTENZA CONSULTA SUGLI OMICIDI IN FAMIGLIA: VIA IL DIVIETO ASSOLUTO DI DIMINUIRE LA PENA

Non è possibile porre un divieto assoluto di diminuire la pena nei casi di omicidi in famiglia: lo ha stabilito la Consulta bocciando una parte della legge “Codice rosso” approvata nel 2019. Così la sentenza n.197 depositata oggi dalla Corte Costituzionale, con relatore Francesco Viganò, che punta a dirimere i ricorsi presentati da due ordinanze della Corte d’assise d’appello di Torino e da un’ordinanza della Corte d’assise di Cagliari.



«Anche nei processi per omicidio commesso nei confronti di una persona familiare o convivente il giudice deve avere la possibilità di valutare caso per caso se diminuire la pena in presenza della circostanza attenuante della provocazione e delle attenuanti generiche»: si legge così nel comunicato della Consulta, in attesa delle motivazioni che saranno pubblicate nel giro delle prossime settimane. Incostituzionale viene così definito l’ultimo comma dell’articolo 577 del codice penale, introdotto dal “Codice rosso” del Governo Conte. Fino ad oggi la norma vietata eccezionalmente al giudice di dichiarare prevalenti le due attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio.



CODICE ROSSO, LA CONSULTA LIMITA UNA PARTE IMPORTANTE DELLA LEGGE

Dal femminicidio alla strage familiare, il “Codice rosso” puntava a irrigidire l’istituto delle attenuanti in caso di omicidi in famiglia: ora la Consulta cambia quell’ultimo comma dopo i ricorsi presentati negli scorsi mesi. In primi, la Corte di Torino si è rivolta alla Corte Costituzionale dopo il caso di un 18enne accusato di avere ucciso il padre in occasione di un ennesimo episodio aggressivo nei confronti propri, della madre e del fratello. I giudici torinesi non ritengono che l’imputato abbia agito in legittima difesa, ma gli riconosce comunque varie attenuanti, tra cui la provocazione e le attenuanti generiche. Stessa posizione della Corte di Torino anche nel caso di una donna che ha ucciso il marito dopo «reiterati comportamenti violenti e prevaricatori nei confronti propri e del figlio». Esclusa la legittima difesa anche in questo caso, ma comunque le attenuanti vengono riconosciute se non ci fosse il “Codice rosso” ad escluderle per legge.



Sempre la Consulta spiega come la Corte di Cagliari stia procedendo nei confronti di un uomo 67enne accusato di avere ucciso la moglie in un momento di «esasperazione provocato dai continui comportamenti aggressivi della vittima, alcolista e affetta da patologie psichiatriche». Davanti a tutti questi tre casi, la Consulta ha ritenuto che il divieto posto dalla norma censurata «determini una violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione». La norma prevista dal Codice rosso, criticata dalla Consulta, di fatto impone al giudice di applicare la stessa pena sia ai casi più efferati di femminicidio che a quelli con oggettive circostanze che potrebbero “diminuire” la colpevolezza degli imputati. Scrivono così i giudici della Corte Costituzionale: «La decisione odierna, ha sottolineato la Corte, non contraddice in alcun modo la legittima, ed anzi apprezzabile, finalità del “codice rosso” di intervenire con misure incisive, di natura preventiva e repressiva, contro il drammatico fenomeno della violenza e degli abusi commessi nell’ambito delle relazioni familiari e affettive». Il Codice rosso insomma non va bocciato interamente, tuttavia viene evidenziato come quella norma sul divieto assoluto di attenuanti può finire col determinare «l’applicazione di pene manifestamente eccessive in situazioni in cui è il soggetto che ha subito per anni comportamenti aggressivi a compiere l’atto omicida, per effetto di una improvvisa perdita di autocontrollo causata dalla serie innumerevole di prevaricazioni cui era stato sottoposto», si legge nella sentenza. Come conseguenza diretta di questa sentenza della Consulta, i tribunali avranno ora nuovamente la possibilità di valutare caso per caso se debba essere inflitta la pena dell’ergastolo (prevista per omicidi in famiglia) oppure una pena più mite, «adeguata alla concreta gravità della condotta dell’imputato e al grado della sua colpevolezza».