Non si può non rimanere sorpresi davanti all’ondata di violenza che colpisce ogni giorno qualche famiglia italiana. Ma devo confessare che più ancora dei femminicidi, che pure turbano profondamente la mia coscienza, mi sconvolge la violenza dei figli contro i genitori. Stampa e tv sembrano fare a gara a metterli in pole position, in modo reiterato per parecchi giorni di seguito, come se non bastasse la notizia in sé a confermare questa incredibile inversione nell’ordine naturale delle cose.



È come se ogni volta si volesse confermare che la famiglia è finita; che il fondamento della nostra società è venuto meno, per cui ogni altra forma di dolore e di sofferenza diventano possibili, nel momento in cui nel cuore delle persone viene meno la gratitudine, fondamento del quarto comandamento: Onora il padre e la madre. Sembra che in alcune situazioni si crei un accanimento distruttivo, che procede dal figlio al genitore e può arrivare a travolgere anche fratelli, soprattutto minori, come se non ci fosse più spazio neppure per l’umana pietà.



Chiedere come si sia potuti arrivare a questo dilagare della violenza non ammette risposte ovvie e scontate. Lo sgomento può e deve continuare nel nostro cuore e nella nostra mente, davanti al male che configura in modo sempre più esplicito il mistero di iniquità. Quel mistero incomprensibile, ma drammaticamente reale, che in certi momenti può penetrare nell’uomo e sconvolgerlo fin dal profondo delle sue viscere.

Non c’è dubbio che la famiglia rappresenti un sistema complesso, dove entra in gioco la nostra dimensione affettiva più profonda: il rispetto, la tenerezza, l’amore, la condivisione, la gratitudine ma anche quella dimensione negativa, che sembra stravolgere tutto nel peggiore dei modi: odio, invidia, sopraffazione, gelosie e voglia continua di prevaricare e di imporre il proprio punto di vista agli altri. Indipendentemente dal posto che si occupa in famiglia vediamo emergere conflitti, che lievitano fino a trasformarsi in vere e proprie forme di violenza fisica e psicologica.



La vita di famiglia sembra appiattirsi su di un modello di funzionamento top-down; c’è un costante tentativo di dominare l’altro e di sottometterlo. E se per anni si è creduto che questo schema si applicasse solo nei modelli di tipo patriarcale, ora stiamo assistendo ad una inversione di tendenza e ci sono figli, alcuni figli!, convinti che tutti sia loro dovuto e non sopportano nessun tipo di “no”. Ogni rifiuto, a volte anche per cause assolutamente legittime, si converte in una frustrazione, ogni frustrazione diventa un’umiliazione, ogni umiliazione sembra chiamare in causa una vendetta. Certamente la violenza familiare non è solo una conseguenza di conflitti tra i vari componenti della famiglia, è anche conseguenza di un graduale accumulo di insoddisfazioni, di trascuratezza, di tensioni e di rabbia che ognuno porta con sé.

C’è un’aggressività fluttuante nell’aria di famiglia che esplode in molti adolescenti nel momento in cui non è più possibile dir loro di sì a tutto quello che chiedono. C’è un principio di realtà che impone dei limiti sul piano delle possibilità oggettive, a cominciare dalle scarse risorse, dalle difficoltà economiche in un contesto in cui sembra che tutto sia dovuto e l’autostima è legata a ciò che si ha, soprattutto in rapporto a ciò che gli altri hanno. Non si sopporta quella che appare come una discriminazione, in cui ci si sente gli ultimi della fila e si è stufi di aspettare che arrivi il proprio turno. E i genitori hanno smarrito il loro ruolo di guida equilibratrice tra il principio del piacere, che chiede di essere soddisfatto hic et nunc, e il principio di realtà, che impone un rallentamento e un’attesa.

Si è distrutto a ritmo sempre più accelerato il principio di autorità. Un genitore che chiede tempo o chiede qualcosa in cambio di ciò che è sollecitato d’imperio da un figlio, appare subito come un cattivo genitore, un genitore da punire, e la sua autorevolezza è cancellata proprio dalla sua incapacità di soddisfare un bisogno, percepito come giusto e dovuto solo perché sentito a fior di pelle.

È venuta meno anche la potenza educativa della scuola, troppo spesso assorbita da programmi da svolgere, da contenuti da apprendere e poco attenta al disagio interiore dei giovani, al loro senso di solitudine, alla loro radicale insoddisfazione nel contesto familiare. E il genitore paradossalmente penso di riequilibrare la situazione alleandosi con il figlio contro il docente. Ma in questo modo contribuisce ad ingigantire i fantasmi interiori del figlio, la sua violenza interiore, che se da un lato pensa di aver ragione e quindi di avere diritto ad imporre il suo punto di vista, dall’altro libera la violenza latente in lui. Un istinto distruttivo sembra guadagnare il diritto di essere messo in libertà. Il limite non esiste più e chiunque si oppone è brutto, sporco e cattivo. La violenza intra-familiare, a differenza di prima, è diventata pubblica e non è più un problema privato all’interno della famiglia.

Contemporaneamente è venuta meno la relazione di aiuto familiare, quella coesione che convertiva la fragilità in solidarietà. Ognuno cerca aiuto fuori dalla famiglia. Assistiamo alla ricerca di aiuto per i singoli membri della famiglia nei servizi socio-assistenziali e sanitari che intervengono a supporto della famiglia, dovendo spesso constatare che la famiglia si è dissolta, e classici legami che la supportano in senso verticale – i rapporti intergenerazionali – e in senso orizzontale – il rapporto di coppia o il rapporto di fraternità – sono venuti meno. Si può essere separati in casa; orfani in famiglia; senza nulla da condividere neppure nei tempi o negli spazi. Ognuno pranza o cena quando vuole, ha una stanza per sé o una stanza comune per tutti, per mancanza di risorse economiche.

Il modello familiare patriarcale è stato demolito in tutti i sensi: la figura del padre si è convertita nella figura del patrigno, che rifiuta ogni responsabilità per cui all’imporre la sua volontà, anche in cose piccole, trova dall’altra parte una resistenza oppositiva, che immediatamente si traduce in conflittualità aperta.

Il nuovo approccio giuridico ha sottolineato nella famiglia solo gli aspetti patologici e devianti, sottolineando come spesso sia la famiglia la causa del profondo malessere dei ragazzi; e spesso anche il contesto degli abusi sessuali. Per cui abbiamo avuto una legge sulla violenza sessuale o contro la pedofilia che ha condotto facilmente all’allontanamento dalla casa familiare con i relativi ordini di protezione dei servizi sociali, per non parlare delle denunce: madri o padri con problemi di dipendenze, ragazze-madri, disagi psicologici, etc. In altri termini la legge ha considerato spesso la famiglia come il soggetto malato o deviante, causa del disagio e della sofferenza dei minori, che hanno avuto in questo modo una spinta a liberarsene, immaginandola come un soggetto persecutorio.

La violenza fisica è certamente quella più visibile e coinvolge direttamente e indirettamente i minori oltre all’adulto. Raramente si è partiti dal presupposto che è conseguenza di fragilità e di difficoltà personali dei singoli componenti dove discussioni, frustrazioni, ruoli, difficoltà economiche, disagi psicologici si riversano all’interno del nucleo familiare. Fino a mettere in evidenza solo recentemente il tema della violenza assistita come violenza vicaria subita. La violenza psicologica è meno visibile e di conseguenza meno riconosciuta; più silenziosa. Ci sono aspetti di inadeguatezza, di bassa autostima, con relazioni di attaccamento tossico, anche al confine della famiglia con figure vicarie, che creano l’insorgere di dipendenza affettiva nei gruppi più chiusi, piccole bande di persone unite più dal comune disagio che da una effettiva capacità di amicizia. Sono tutti indicatori di ruoli che oscillano tra prevaricazione e sottomissione.

Oggi come oggi la violenza psicologica è sempre più penetrante e comporta minacce, insulti, umiliazioni, scarsa identità e bassa autostima, che inevitabilmente inducono ad isolarsi, e non consentono di creare relazioni con gli altri. Le conseguenze psicologiche possono essere davvero molto gravi. Si possono sviluppare problemi di ansia e paura eccessiva, invalidanti nella vita quotidiana, con un senso di impotenza che può indurre rabbia e desiderio di vendetta, come davanti ad un nemico aggressivo e pericoloso. Questo può provocare ripercussioni a lungo raggio che possono intersecare tendenze suicidarie o tendenze omicide.

Quel che è certo è che il danno viene da lontano e per curarlo occorre spingersi lontano e risalire nel vissuto del soggetto con delicatezza e competenza, ma anche con fermezza e con affetto. Cose tutt’altro che facili da tenere insieme. Ci stanno provando il Moige (Movimento italiano genitori), a Torino il Gruppo Abele ha elaborato un progetto: La quercia di Mamre, per proteggere i genitori dalla violenza dei figli, la rete di Soprusistop, ecc. Cose impensabili solo fino ad una decina di anni fa.

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