Poco più di un anno fa, il 28 giugno 2021, la 15enne Chiara Gualzetti veniva uccisa prima a coltellate e poi a calci da un ragazzo che considerava suo amico. “Me lo ha chiesto un demone” aveva continuato a ripetere lui, in un tentativo di depistare le indagini. Da pochi giorni, il ragazzo ha ricevuto la condanna a sedici anni e quattro mesi per il terribile assassinio di Chiara, consumatosi in un parco di Monteveglio. “Se anche l’assassino di mia figlia avesse ottenuto l’ergastolo, questo non avrebbe placato la rabbia e il dolore che io e mia moglie sentiamo per la perdita di nostra figlia” racconta il padre della ragazza, Vincenzo Gualzetti, intervistato da Avvenire. “È una cosa atroce e inaccettabile per un genitore, nessuna pena potrebbe restituirci Chiara”.
L’assassino di Chiara è stato valutato per ben quattro volte come capace di intendere e di volere e non avrebbe mai mostrato segni di pentimento. Più volte ha ripetuto “Tanto sono minorenne, non mi faranno niente” e per questo motivo i genitori di Chiara stanno lottando, sostenuti dal loro avvocato affinché “l’obbligatorietà dell’attenuante della minore età diventi, invece, discrezionalità del giudice. Questa battaglia ci aiuta a dare un senso alla morte di nostra figlia”.
Il papà di Chiara Gualzetti “Non vogliamo che sua morte sia vana”
Il padre di Chiara Gualzetti, la 15enne uccisa senza pietà da un ragazzo che conosceva e di cui forse era innamorata, spiega ad Avvenire che “Oggi essere minorenni nel momento in cui si compie un reato è di per sé un’attenuante” che si traduce in “una riduzione di un terzo della pena, per il solo fatto di essere minorenne”. Fare il possibile perché questo stato di cose possa finalmente cambiare è ciò che sostiene i genitori di Chiara: “Ora noi non lo vediamo, ma sappiamo che c’è un motivo più grande: non vogliamo che la sua morte sia stata vana e desideriamo che porti a un miglioramento sociale, a qualcosa di buono”
Ora i genitori di Chiara operano attraverso la loro associazione, “L’Arco di Chiara”, che propone agli adolescenti sportelli di ascolto e di lotta al bullismo e alla violenza, ma pensa anche alle famiglie. I genitori “fanno fatica a stare dietro ai figli. Sono impreparati, non riescono ad essere più presenti perché la società, oggi, impone loro di lavorare molto”, quindi “i figli, li conoscono poco. Ci ha molto colpiti un fatto: durante le indagini hanno sequestrato diversi cellulari degli amici dell’assassino. Quando li hanno restituiti ai genitori, questi hanno detto: ‘Ci siamo resi conto di non conoscere affatto la vita dei nostri figli’”.