E’ stato riaperto un vero e proprio cold case, quello riguardante il rapimento con estorsione di Cristina Mazzotti, risalente al primo luglio del 1975, e conclusosi con la morte della stessa 18enne. Come riferito da TgCom24.it, è stata avviata una nuova inchiesta, la terza, in cui figurano quattro indagati, tutti appartenenti alla vecchia “mala” del capoluogo lombardo, Anonima sequestri nel Nord Italia, considerata vicina alla ‘ndrangheta.



Stando a quanto riferito dai principali organi di informazione, leggasi il “Corriere della Sera”, la “Stampa”, la “Repubblica” e il “Fatto quotidiano”, i pm milanesi Alberto Nobili e Stefano Civardi, contestano ai quattro indagati l’omicidio volontario della donna. Cristina Mazzotti stava rientrando a casa nella sua abitazione di Eupilio, in provincia di Como, il primo luglio del 1975, quando si trovò la strada sbarrata dai banditi: i malviventi trascinarono di peso la ragazza fuori dalla sua auto, per poi chiedere il giorno dopo un riscatto da 5 miliardi di lire. Il padre riuscì a mettere insieme un miliardo di lire e 50 milioni nel giro di un mese, ma il primo settembre i carabinieri ricevettero una telefonata anonima che li avvisava del cadavere di Cristina Mazzotti in una discarica di Galliate, in provincia di Novara.



OMICIDIO CRISTINA MAZZOTTI, COLD CASE RIAPERTO: ECCO PERCHE’

Nessuno del primo gruppo calabrese di esecutori materiali venne mai individuato e il caso venne archiviato nel 2012 nonostante numerosi sospetti e persino ammissioni. A far riaprire nuovamente le indagini sono tre fatti nuovi, a cominciare da una sentenza della Cassazione nel 2015 che ha indicato imprescrittibile il reato di omicidio volontario.

E’ stato poi presentato un esposto da parte dell’avvocato dei Mazzotti, secondo cui Demetrio Latella, le cui impronte sono state trovate sull’auto dei sequestratori, e che ha ammesso negli anni di essere stato uno dei sequestratori, avrebbe avuto un ruolo dell’omicidio anche del magistrato torinese Bruno Caccia, ucciso nel 1983. I pm Nobili e Civardi, dell’antimafia milanese, contestano infine a Latella, nonché a Giuseppe Calabrò e Antonio Talia, tirati in causa dal primo, l’omicidio di Cristina Mazzotto nel presupposto che “segregandola in una buca senza sufficiente aerazione e possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti ed eccitanti”, ne abbiano “così cagionato la morte”. Tre non hanno risposto mentre Latella ha confermato le sue precedenti ammissioni.