Lo scorso dicembre Antonio Tizzani, marito di Gianna Del Gaudio, è stato assolto dall’accusa di essere stato lui a sgozzare la moglie, ma il pm Laura Cocucci – che aveva chiesto l’ergastolo per l’uomo ed ex ferroviere – rivendica la dignità dell’unica prova, quella del Dna di Tizzani sul taglierino usato per uccidere la donna di seriate il 26 agosto 2016. E così, come riferisce Corriere della Sera, nelle 72 pagine di ricorso scrive: “I risultati delle indagini genetiche sull’arma del delitto sono dirimenti”. Nelle motivazioni della sentenza, invece, il giudice definiva il Dna solo un “mero indizio”. Il pm di contro è certo della sua ricostruzione dei fatti che vede anche due testimoni “uditive”, la falsa versione dell’imputato e le intercettazioni ma a contestarlo è la Corte d’assise per la quale “non poggia su una solida base probatoria, necessaria per pervenire aldilà di ogni ragionevole dubbio ad una decisione di condanna”.



Ecco allora che il pubblico ministero chiede adesso che vendano acquisite le interviste audio e video rilasciate da Tizzani nelle quali parlava del famoso uomo incappucciato che, a suo dire, rappresenterebbero “ulteriori elementi di prova per dimostrare le contraddizioni e la falsità della versione fornita”.



OMICIDIO GIANNA DEL GAUDIO, PM RICORRE IN APPELLO CONTRO ASSOLUZIONE TIZZANI

Rispetto alla traccia di Dna di Antonio Tizzani sul cutter si tratterebbe di un dato che secondo il pm “deve essere letto in correlazione con le dichiarazioni di Tizzani” che ha escluso di averlo mai usato in altre circostanze. Il ragionamento è dunque che il marito di Gianna Del Gaudio lo avrebbe utilizzato per uccidere la donna lasciando la propria traccia nella parte di lama coperta dall’impugnatura. In merito all’ipotesi dello stesso killer dietro l’omicidio di Daniela Roveri, alla luce di alcune analogie del Dna, per il pm si tratta di “una mera ipotesi” appunto anche per via della diversa qualità tra i due Dna. Ci sono poi le testimonianze, due amiche ferme in auto a poca distanza da casa Tizzani, che avrebbero udito un uomo rabbioso, una voce femminile flebile e poi un urlo “agghiacciante”. Per il pm si tratta di due testimonianze con “un’importanza rilevantissima”. Lo stesso pubblico ministero contesta anche il racconto di Tizzani definendolo “incongruo, illogico, falso”.



L’uomo dice di non essersi avvicinato al corpo senza vita della moglie eppure sotto i suoi sandali ci sono tracce di sangue. Racconta dell’incappucciato con “le mani libere” ma il pm si domanda come mai non portasse l’arma e la famosa busta di mozzarelle in cui è stata rinvenuta. Parla anche di “mani abbronzate” eppure non sono state trovate tracce e che ha scavalcato il cancelletto, ma qualcuno lo avrebbe comunque aperto. Forse proprio lo stesso Tizzani, sostiene l’accusa, per portare fuori l’arma prima di chiamare il figlio Mario. E poi alcune intercettazioni sospette legate proprio all’arma, prima che venisse detto a Tizzani del ritrovamento in una siepe.