L’omicidio di Pescara che coinvolge alcuni adolescenti fa emergere in modo tragico l’abisso di male, di violenza e di solitudine in cui sono caduti molti giovanissimi.
Venticinque coltellate, inferte da entrambi, sono impressionanti, tipiche di un omicidio passionale. I due giovani assassini che mentre infliggono i loro colpi mortali a Christopher Thomas Luciani gli dicono “stai zitto!” è un altro particolare agghiacciante, quasi che davanti a loro ci fosse un animale e non un ragazzo come loro.
La droga fa parte di questo male assoluto, di questo abisso, ma certo non può essere ridotta all’unica causa, che va piuttosto ricercata nel vuoto immenso che precede la violenza.
Alla base dell’omicidio, dicono le fonti di cronaca, c’è il “rispetto”, non soltanto 250 euro di debito per droga. Dopo l’omicidio uno dei due 16enni si è fatto anche fotografare con aria fiera e il pugno sul petto in spiaggia, probabilmente per postare poi sui social e raccontare a se stesso che la sua vita ha un valore. Oggi gli adolescenti sentono il bisogno di mostrare a se stessi e agli altri di essere importanti, in una vita che normalmente è triste, piena di routine, noiosa e spesso senza futuro.
Già da tempo assistiamo a segnali simili dal mondo degli adolescenti. Ogni volta rimaniamo sconvolti e partiamo, senza successo, alla ricerca di un responsabile. Questa volta mi pare si sia arrivati a un punto ulteriore.
L’intervista al padre di un ragazzo del branco che ha assistito all’omicidio colpisce per la profonda realtà e impotenza degli adulti davanti a questo mondo desolato. “Gli chiedevo dove andasse e cosa facesse, chi erano i suoi amici e come impiegassero il tempo ma…”.
Spesso gli adulti non vedono, altri minimizzano tanti episodi che riguardano il disagio degli adolescenti, alcuni lo fanno per connivenza, altri per sfruttare i giovani su sesso, droga e divertimento. Ma la posizione del padre nell’intervista penso sia la prevalente negli adulti. Un’incapacità a dialogare, ad entrare in un rapporto vero, a capire il mondo degli adolescenti, in sintesi una resa alla manifesta incapacità di relazione. In quel “ma” c’è tutto l’abisso che separa gli adolescenti dalla maggior parte degli adulti e che affligge la nostra società.
Don Luigi Giussani, uno dei più importanti educatori del nostro tempo, all’inizio del suo testo più importante riguardante l’educazione, “Il rischio educativo”, parla esattamente di questo. “L’idea fondamentale di una educazione rivolta ai giovani è il fatto che attraverso di essi si ricostruisce una società; perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani (il contrario di quel che avviene adesso)”. È una frase – profetica – che risale agli anni 70. Dopo cinquant’anni, il deserto educativo rende la situazione ancora più drammatica. La nostra è una società in profonda crisi, nella quale il fallimento più preoccupante è proprio quello educativo. Il crollo delle nascite ne è una conseguenza: con adolescenti che rischiano di affrontare situazioni di droga, suicidio, bullismo, identità di genere, autolesionismo, violenza, baby gang, alcool, educare un figlio nella società di oggi appare a tanti un’impresa ormai impossibile.
Come uscirne? Nessuno può sentirsi esente da responsabilità rispetto a quello che sta accadendo ai nostri giovani, come ha detto nell’intervista il padre di un giovane coinvolto nei fatti di Pescara: “Non solo non mi assolvo come padre, ma dico che qui nessun adulto può farlo davvero”. Poi occorre che le istituzioni inizino a investire seriamente in quelle realtà educative che sono più vicine ai giovani e alle famiglie. Non seminando fondi a pioggia, come anche recentemente è stato fatto nel mondo della scuola, ma selezionando e investendo nelle proposte educative, formative, professionali che sono già presenti e funzionano.
Serve una decisione politica. Diversamente non ci resterà che abituarci ai prossimi omicidi, stupri e violenze.
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