Omicidio Don Peppe Diana, il 19 marzo 1994, trent’anni fa, fu assassinato quello che verrà poi ricordato come il parroco che combatteva la camorra. Nella sua chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, in provincia di Caserta. Una vita, che ancora oggi deve essere un esempio per tutti, ricordando soprattutto i progetti sociali che Don Peppe portava avanti con grande sacrificio pur di strappare i giovani alla malavita. E che proprio per questo motivo e per il coraggio di non tacere ma di affrontare e denunciare direttamente la criminalità organizzata, invitando tutti i cittadini e fedeli a ribellarsi contro quella che definiva “dittatura armata” fu ucciso.



Il documento scritto insieme ad altri sacerdoti intitolato “Per amore del mio popolo“, letto la notte di natale, fu un vero e proprio appello alle istituzioni, a non rimanere indifferenti di fronte a ciò che continuamente accadeva. Nonostante ci fossero stati riscontri positivi e risposte, di gente che si unì al coraggio, da molti altri invece venne accolto con silenzio e paura. Una vicenda che purtroppo si concluse con il tragico epilogo, il giorno del suo onomastico, quando Don Peppe Diana, prima della messa consueta delle 7.30 del mattino fu raggiunto da 4 colpi di pistola. Dopo che un uomo si presentò in sacrestia chiedendo: “Chi è don Peppino?”, poco prima di sparargli al collo e al volto.



Le indagini sull’omicidio di Don Peppe Diana

L’omicidio di Don Peppe Diana, il prete che combatteva la camorra, fu un episodio che verrà ricordato come un simbolo della lotta contro la criminalità organizzata. Soprattutto, nello scenario di quegli anni, assume particolare importanza nella storia della condanna alla mafia da parte della chiesa, che fu segnata da una serie di altri delitti. Per quanto a molti cittadini locali fosse ben chiaro chi furono i mandanti, inizialmente le indagini non furono semplici e vennero ostacolate da numerosi tentativi di depistaggio. Non solo, si tentò anche di infangare il nome del parroco inventando menzogne sul suo conto, che parlavano di un prete invischiato negli affari della malavita, ucciso per un regolamento di conti per aver custodito alcune armi.



Altri invece, con la complicità di giornalisti locali, lo descrissero come un frequentatore di prostitute ed un camorrista. Poi alla fine questi tentativi si rivelarono fallimentari e l’inchiesta portò all’arresto e alla condanna di Nunzio De Falco come mandante, Giuseppe Quadrano, Mario Santoro e Francesco Piacenti come esecutori. Le motivazioni uscirono fuori in sede di processo e in base a quanto rivelarono gli imputati, si scoprì che Don Peppe Diana, si rifiutò di celebrare i funerali di un boss, che era lo zio di uno degli esecutori materiali dell’omicidio. Un gesto che venne considerato come un grave affronto, soprattutto dopo anni di lotta alla criminalità, e che costò la vita al parroco.

Omicidio Don Peppe Diana, chi sono Mario Santoro, Giuseppe Quadrano e Francesco Cirillo

Tra i condannati per l’omicidio di Don Peppe Diana ci sono Mario Santoro, Giuseppe Quadrano e Francesco Cirillo. Il primo, Santoro fu riconosciuto come complice del gesto, cioè uno degli uomini che effettivamente quella mattina del 19 marzo 1994 si presentò in sagrestia per sparare al parroco, e per questo dieci anni dopo i fatti fu condannato al’ergastolo. Giuseppe Quadrano, inizialmente arrestato perchè riconosciuto da un testimone come l’autore materiale del gesto, colui che impugnò la pistola, decise poi di diventare un collaboratore di giustizia. Questo gli fece guadagnare uno sconto di pena che portò la condanna a soli 14 anni. Decisive furono alcune sue rivelazioni, non solo sulle dinamiche del delitto e sui nomi dei mandanti, ma soprattutto per quanto riguarda le vere motivazioni di questo gesto.

Sembra infatti che oltre a voler sanare l’oltraggio che Don Peppe Diana aveva fatto alla camorra denunciando pubblicamente ed invitando i cittadini a non tacere, e poi rifiutando di celebrare un funerale, ci fosse anche un altro motivo. Quello di dimostrare una spaccatura tra il clan dei casalesi ed il gruppo che nel frattempo si era formato con a capo De Falco e Quadrano. Francesco Cirillo, conosciuto come “Il killer dei casalesi”, risulta tutt’ora latitante. Deve scontare una condanna a 30 anni per l’omicidio di un imprenditore che si era ribellato alla camorra. Il comitato Don Peppe Diana si era costituito parte civile al processo schierandosi con la famiglia della vittima.