Dalla sperata svolta in un’indagine lunga 40 anni alla delusione dell’ennesima archiviazione sono passati poco più di 13 mesi e così il caso dell’omicidio dell’ex primario del Policlinico di ostetricia e ginecologia di Modena Giorgio Montanari resta irrisolto in uno dei più antichi cold case di italiana memoria: era – infatti – il 1981 quando l’allora primario venne ucciso nel cortile del nosocomio e nonostante in questi anni si siano seguite tre differenti piste, ad oggi non si sa ancora chi sia stato a sparare a Giorgio Montanari né – tanto meno – per quale motivo.



Tornando indietro con la mente a 43 anni fa, qualcuno ricorderà che era la tarda serata dell’8 gennaio quando venne diffusa la notizia della morte di Giorgio Montanari raggiunto – mentre di trovava a bordo della sua auto alla fine di un normale turno lavorativo – da quattro proiettili sparati a breve distanza da una pistola calibro 45: il killer – ovviamente – si dileguò senza lasciare alcuna traccia significativa fuorché i bossoli dei proiettili, un singolo reperto ascrivibile ad un processi modello d’automobile e una piccola (presunta) bomboniera azzurra.



Archiviata l’indagine sull’omicidio Giorgio Montanari: non ci sono prove contro i due indagati

Proprio la bomboniera, i bossoli e il reperto avevano spinto gli inquirenti a chiedere (ed ottenere) una nuova riapertura del caso di Giorgio Montanari nel settembre del 2023 ascrivendo al registro degli indagati due persone: da un lato un uomo oggi 65enne e – dall’altro – suo padre deceduto nel frattempo con l’ipotesi che avessero organizzato l’omicidio come vendetta per alcune complicazioni che avevano costretto il figlio e nipote dei presunti assassini sulla sedia a rotelle; mentre già un paio di mesi fa i Pm avevano chiesto l’archiviazione non potendo perseguire l’anziano signore (appunto, deceduto nel frattempo) e non riuscendo a raccogliere alcuna prova concreta contro l’altro indagato.



Insomma, l’ennesimo buco nell’acqua dopo la primissima indagine – forse la più solida – che si era concentrata attorno all’ipotesi che ad uccidere Giorgio Montanari fosse stato un collega (tanto che uno finì anche indagato) per via delle sue posizioni libertine sull’aborto alla base – peraltro – di minacce ricevute dal primario nei mesi prima della morte; così come si rivelò fallimentare anche seguire la pista della vendita all’asta di una pistola identica a quella che sparò i quattro proiettili vagliata qualche anno fa.