Stefano Binda, assolto in via definitiva dall’accusa di aver commesso l’omicidio di Lidia Macchi, ha diritto ad un risarcimento per l’ingiusta detenzione in carcere. Lo ha deciso la quinta sezione della Corte d’Appello di Milano: i giudici, infatti, hanno disposto la liquidazione di oltre 303mila euro. Di fatto, è stata accolta la richiesta degli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli, che lo scorso 24 maggio avevano depositato l’istanza. Sono 1.286 giorni di ingiusta detenzione quelli subiti da Stefano Binda.
Il 54enne di Brebbia finì in carcere per tre anni e mezzo, dal gennaio 2016 al luglio 2019. In questo periodo Stefano Binda si è comportato da detenuto modello, aiutando gli altri compagni di cella e svolgendo attività interne di pubblica utilità. Nell’aprile 2018 venne condannato all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso Lidia Macchi nel gennaio 1987 nei boschi di Cittiglio. Stefano Binda fu poi assolto nell’estate 2019 in Corte d’Assise d’Appello, a gennaio 2021 in via definitiva dalla Cassazione.
“STEFANO BINDA HA ACCOLTO NOTIZIA IN MANIERA IMPASSIBILE”
I difensori di Stefano Binda avevano chiesto 50mila euro a titolo di danno “endofamiliare”, dovuto all’assenza dell’uomo dalla casa in cui vive, per il tempo trascorso dietro le sbarre. Ma tale richiesta non è stata accolta, ha spiegato l’avvocato Esposito dopo che è stata resa nota tale decisione. “Stefano ha accolto la notizia in maniera impassibile, come sempre”, ha aggiunto il legale. Ora l’uomo vive a Brebbia e si occupa di volontariato in diverse associazioni culturali nella zona del lago Maggiore. Era il 5 gennaio 1987 quando Lidia Macchi andò a trovare un’amica ricoverata all’ospedale di Cittiglio, senza però tornare a casa dei genitori, a Varese.
Il corpo di Lidia Macchi fu ritrovato due giorni dopo in un bosco, parzialmente svestito e coperto da cartoni. La Procura stabilì che era morta tra il 5 e 6 gennaio dopo essere stata accoltellata 29 volte. Questo fu il primo caso in Italia per il quale fu usato il test del Dna a scopo d’indagine, ma non si arrivò ad alcun riscontro. Stefano Binda, suo ex compagno di scuola, fu incriminato quasi trent’anni dopo l’omicidio, e poi condannato nonostante le prove contro di lui sembrassero esigue, poi l’assoluzione.