Stefano Binda, assolto in via definitiva nel processo per l’omicidio Lidia Macchi, lotta ancora per ottenere il risarcimento per l’ingiusta detenzione dopo aver trascorso 3 anni, 6 mesi e 40 giorni in carcere da innocente. Fu arrestato nel 2016 con l’accusa di aver ucciso la studentessa 21enne nel 1987, in provincia di Varese, e fu infine assolto per non aver commesso il fatto. L’identità dell’assassino è ancora un mistero.
La battaglia di Stefano Binda, inizialmente riconosciutogli un indennizzo di 303mila euro, arriva a un altro step con il recente stop imposto all’iter sul risarcimento da un ricorso dell’Avvocatura dello Stato contro la decisione della Cassazione sulla sua carcerazione.
Omicidio Lidia Macchi: il risarcimento a Stefano Binda oggetto di una lunga battaglia
“È stato montato un processo indiziario a mio carico, ne è risultato un processo di prove positive a mio favore e, malgrado questo, ho preso l’ergastolo a Varese. Ma soprattutto, di queste prove positive a mio favore 3 su 4 erano già a conoscenza, non sono emerse dal processo”. Così Stefano Binda aveva commentato l’odissea giudiziaria che lo ha visto finire a processo per l’omicidio di Lidia Macchi e poi assolto definitivamente dall’accusa di essere l’autore del delitto ma senza risarcimento per l’ingiusta detenzione a cui fu sottoposto tra il 2016 e il 2019.
I soldi che ha chiesto a titolo di indennizzo per essere stato in cella 3 anni, 6 mesi e 40 giorni della sua vita sono oggetto di una vicenda che sembra non avere fine. La Corte d’Appello di Milano, ricostruisce Ansa, gli aveva riconosciuto 303mila euro. Sentenza che poi era stata impugnata dalla Procura generale in Cassazione perché “con i suoi silenzi” l’uomo avrebbe contribuito a produrre “l’errore sulla sua carcerazione“, tenuto conto che la “condotta mendace” davanti agli inquirenti sarebbe stata “fortemente equivoca“. Il 23 settembre scorso, la Suprema Corte ha stabilito un risarcimento di 212mila euro, attribuendo a Binda una “colpa lieve” nella condotta tenuta a processo. Quindi avrebbe detto sì all’indennizzo, contrariamente alla richiesta di rigettarlo per intero avanzata dalla Procura generale milanese nella sua impugnazione. Ora, però, tra Stefano Binda e il risarcimento si insinua un nuovo gradino con il ricorso dell’Avvocatura dello Stato contro la decisione della Cassazione. Entro oggi, 4 ottobre, stando a quanto appreso dall’Ansa, i difensori di Stefano Binda depositeranno a loro volta ricorso perché ritengono inesistente la “colpa lieve” che la Cassazione avrebbe attribuito al loro assistito portando così a ridurre l’entità del risarcimento.