OMICIDIO MARTA RUSSO: UNO DEI MISTERI PIÙ INTRICATI

L’omicidio Marta Russo è stato un caso giudiziario così complesso che spiegare cos’è successo alla studentessa uccisa nel 1997 all’Università la Sapienza di Roma è quasi impossibile, non a caso è diventato uno dei misteri più intricati della cronaca nera e il caso è tutt’altro che risolto. Ci sono però degli elementi certi da cui si può partire: la ragazza che studiava giurisprudenza fu ferita gravemente alla nuca da un proiettile sparato da una finestra, morendo dopo cinque giorni di coma. La 22enne stava percorrendo un viale nella città universitaria con una compagna di studi quando fu raggiunta dal proiettile di un’arma che non venne mai trovata, così come non è mai stato scoperto il movente.

Si ipotizzò un gioco finito male per i due giovani assistenti universitari Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro, che si sono sempre proclamanti innocenti e alla fine anno scontato rispettivamente 5 anni e quattro mesi per omicidio colposo e 4 anni e due mesi per favoreggiamento. Al termine del processo si è appreso che Scattone sparò, ma non si è mai capito perché e come. Quella sentenza scontentò tutti: era troppo lieve per chi puntata sulla condanna per omicidio volontario e troppo dura per chi si era sempre proclamato innocente. Ben cinque sentenze non sono bastate a fugare ogni dubbio.

LE INDAGINI E LE PISTE SEGUITE

Inizialmente si ipotizzò che l’obiettivo non fosse Marta Russo ma Jolanda Ricci, la compagna di studi della vittima figlia dell’allora dirigente del ministero della Giustizia, ex direttore del carcere di Rebibbia e tra i dirigenti di Alleanza Nazionale, anche perché in quei giorni a casa erano arrivate strane telefonate in diversi momenti della giornata.

Non c’era niente nella vita della vittima che facesse pensare che qualcuno potesse volerla morta. Dallo scambio di persona al terrorismo, visto che era il giorno dell’uccisione di Aldo Moro e le destre avevano vinto le elezioni studentesche, fino allo sparo accidentale: furono diverse le piste seguite per l’omicidio Marta Russo, controverse le indagini. Non solo perché la pistola non venne mai trovata, ma anche perché ci fu una guerra tra perizie e testimonianze contraddittorie.

LE PROVE CONTRADDITTORIE

La polizia si convinse che il colpo di pistola fosse partito dall’aula 6 del dipartimento di Filosofia del diritto e si scoprì che la figlia di un docente della facoltà, Maria Chiara Lipari, aveva usato il telefono. Prima negò la sua presenza nell’aula, poi diede versioni discordanti, alla fine passò la palla alla segretaria Gabriella Alletto che venne interrogata per ore con modalità censurabili: alla fine il mirino si spostò su sugli assistenti universitari Salvatore Ferraro, accusato dell’omicidio Marta Russo, e Giovanni Scattone per favoreggiamento.

Eppure, le prove della loro colpevolezza erano contraddittorie. Ad esempio, quella che per la polizia era polvere da sparo, in realtà poteva essere residuo dei freni di una macchina o di una stampante. Nonostante varie peripezie giudiziarie, con sentenze annullate dalla Cassazione per le prove «illogiche e contraddittorie» contro gli imputati, alla fine si è arrivati alla condanna per l’omicidio Marta Russo.

MARTA RUSSO, TUTTI I DUBBI ANCORA IRRISOLTI

Alla fine, i dubbi irrisolti sono tanti, non a caso lo scrittore Mauro Valentini, che all’omicidio Marta Russo ha dedicato un libro, ritiene che il processo «fu l’atto giudiziario più controverso credo della nostra storia», perché le perizie sconfessavano la ricostruzione degli inquirenti e le testimonianze. Ci sono ancora dubbi anche sul luogo dello sparo, ma anche lacune: «Non si indagò poi su alcuni soggetti interni all’università che maneggiavano armi all’interno dei locali della Sapienza e che per loro stessa ammissione erano avvezzi a giocare con le armi».

I due condannati non furono visti dagli studenti quel giorno, ma solo da tre testimoni mesi dopo con versioni che non convergevano tra loro. Incredibile per Valentini è anche il fatto che l’addetto alle pulizie nel bagno di statistica al piano terra, dove sarebbe partito lo sparo, due anni dopo abbia fatto arte del gruppo considerato responsabile dell’omicidio del professor D’Antona.