Sono ormai trascorsi trentun anni dall’audizione di Giovanni Falcone del 3 novembre 1988 circa l’uccisione di Piersanti Mattarella, l’allora presidente della Regione Sicilia (e fratello di Sergio, attuale Presidente della Repubblica italiana) assassinato il 6 gennaio 1980 a Palermo, in pieno centro città. La commissione parlamentare Antimafia ha scelto proprio in queste ore di rilasciare integralmente il verbale di quel giorno, che riporta le parole del compianto magistrato e che apre possibili nuovi spiragli in merito alla verità che avvolge quel delitto. “È un’indagine estremamente complessa, perché si tratta di capire se, e in quale misura, la pista nera sia alternativa a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa”, dichiarò il giudice, poi perito nel 1992 nella strage di Capaci insieme alla consorte Francesca e a tre agenti della sua scorta. Falcone parlò del legame tra l’estremismo nero e Cosa Nostra, sottolineando la convergenza d’interessi tra le due parti, che “potrebbe significare altre saldature e, soprattutto, la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”. Una chiave di lettura per certi aspetti inedita e capace di rendere attuale un caso di quarant’anni fa e mai veramente chiuso.



FALCONE E LA “PISTA NERA” NEL DELITTO MATTARELLA

Il giornalista Giovanni Bianconi sull’edizione online del “Corriere della Sera” racconta che l’audizione di Falcone e degli altri giudici istruttori del pool antimafia era finora coperta dal segreto e rientra nel novero dei documenti che la commissione parlamentare ha deciso ora di svelare. La cosiddetta “pista nera” rimane d’attualità financo ai giorni nostri e viene percorsa con costanza dagli inquirenti. A tal proposito, Bianconi ricorda che nel 1988 Falcone ribadiva che “i collegamenti risalgono a certi passaggi del golpe Borghese, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana. E ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona”, il bancarottiere che nelle settimana antecedenti all’assassinio di Piersanti Mattarella, del quale, peraltro, non si conoscono ancora i nomi degli esecutori materiali, albergava clandestinamente in Sicilia, a stretto contatto con i boss mafiosi. “Questi elementi comportano la necessità di un’indagine molto approfondita che peraltro stiano svolgendo, e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi”, asserì Falcone, la cui corsa, come detto, terminò anzitempo, proprio quando la sua candidatura pareva essere quella più forte per governare la Procura nazionale antimafia.

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