Giovanni Padovani era capace di intendere e di volere quando ha ucciso l’ex fidanzata Alessandra Matteuzzi anche per il consulente nominato dalla procura di Bologna. L’incarico di analizzare le condizioni psichiche dell’imputato era stato conferito dai pm Lucia Russo e Francesca Rago ad Alessio Picello, il quale ha raggiunto le stesse conclusioni dei periti dei giudici. La relazione, stando a quanto riportato dall’Ansa, è stata depositata in vista dell’udienza del 20 novembre, nella quale di discuterà proprio della perizia dei tre specialisti nominati dalla Corte di assise, cioè Pietro Pietrini, Giuseppe Sartori, Cristina Scarpazza.
Anche il consulente del pm evidenzia come non sia clinicamente verosimile che Padovani fosse vittima di allucinazioni quando ha ucciso il 23 agosto 2022 Alessandra Matteuzzi a colpi di martello, panchina, calci e pugni. L’imputato si è mostrato consapevole della natura antigiuridica delle proprie azioni, cercando online Stati dove non sono riconosciute le leggi italiane. Inoltre, in alcune chat sembra prospettare a proprio vantaggio la scriminante dell’infermità.
“GIOVANNI PADOVANI HA SIMULATO SINTOMI PSICHICI”
La perizia psichiatrica su Giovanni Padovani segnala anche una tendenza dell’imputato a simulare sintomi psichici. Un punto su cui non concordano invece i consulenti della difesa, rappresentata dall’avvocato Gabriele Bordoni. Per Alessandro Meluzzi, Cinzia Gimelli e Irina Chipcia, come riportato dall’Ansa, le conclusioni dei periti tendano a confermare un’ipotesi già presente in partenza. Ritengono, quindi, che emerga un quadro clinico con psicosi, allucinazioni visive e uditive, motivo per il quale parlare di simulazione sarebbe, a detta loro, immotivato e lesivo delle condizioni cliniche.
Di diverso avviso i consulenti degli avvocati Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini, legali dei familiari della vittima, i quali condividono le conclusioni dei periti riguardo la capacità di intendere e di volere dell’ex fidanzato di Alessandra Matteuzzi. Infatti, Sergio Isacco e Marco Samory segnalano, ad esempio, la capacità dell’imputato di controllare il proprio comportamento e di pianificazione, oltre al fatto che i sintomi sono iniziati almeno 5 mesi dopo l’omicidio.