Vincenzo Agostino aveva promesso che avrebbe tagliato la barba solo quando sarebbero stati assicurati alla giustizia gli assassini del figlio Nino e della nuora Ida. Quella lunga barba ormai bianca, però, Vincenzo continua ad averla: “Non è ancora arrivato quel momento, anche se in questi ultimi giorni stanno accadendo cose importanti”, dice in una recente intervista a Repubblica. La procura di Palermo, infatti, è pronta a chiedere il rinvio a giudizio per i due presunti assassini del poliziotto e della moglie uccisi da Cosa nostra il 5 agosto 1989. Si tratta dei boss Gaetano Scotto e Antonio Madonia. Solo adesso, dopo quasi 31 anni, si intravede per la prima volta la possibilità di un processo, ma Vincenzo, 83enne e simbolo della ricerca della verità, sa che è solo l’inizio di una lunga battaglia. Tante volte, ha ammesso di aver pensato di non arrivare a conoscere quella verità. “Mia moglie Augusta è morta prima che ci fosse la svolta nell’indagine”, dice. La donna morì il 28 febbraio dello scorso anno senza però sapere chi avesse ucciso il figlio Nino, la nuora e la bambina che sarebbe nata. “La verità sulla morte di Nino e Ida è dentro lo Stato”, dice oggi Vincenzo, “Ci sono persone che sanno, ma non parlano”. E’ quanto evidenziato anche dalle indagini, spiega l’uomo, “che hanno messo in evidenza un’azione intensa di depistaggio, iniziata poche ore dopo l’omicidio di Nino quando furono trafugati alcuni appunti da un armadio della sua casa di Altofonte”. Secondo l’uomo, il furto fu commesso da alcuni agenti di polizia o rappresentanti delle istituzioni, “gente senza scrupoli che operava agli ordini di qualcuno”. Per quelle sparizioni fu indagato un ex ispettore amico di Nino. Da una intercettazione della Dia si apprese che quelle carte furono distrutte.



OMICIDIO NINO AGOSTINO: IL PADRE “FU TRADITO”

La procura di Palermo che indaga sulla morte di Nino Agostino ha accusato anche un altro amico dell’agente, Francesco Paolo Rizzuto, all’epoca dei fatti 16enne. Dal giorno del delitto, Vincenzo Agostino e la moglie sono diventati il simbolo dell’antimafia che non smette di raccontare. La stessa signora Augusta negli ultimi tempi aveva indossato costantemente il fazzoletto tricolore che Nino indossava il giorno del giuramento. La coppia nel settembre scorso avrebbe festeggiato i 60 anni di matrimonio. Oggi Vincenzo ricorda con enorme nostalgia quel loro primo incontro, avvenuto a pizza Bologni nel 1957. Dando uno sguardo alla Palermo di ora, Vincenzo vede un grande cambiamento: “Tanta strada è stata fatta. Grazie soprattutto a donne coraggiose che ci hanno insegnato a lottare per la verità”, dice a Repubblica. Tra quelle donne c’è anche sua moglie Augusta. Ma come si potrebbe arrivare ad alcune verità ancora nascoste? “Qualche uomo delle istituzioni dovrebbe passarsi una mano sulla coscienza”, dice, “magari perchè è arrivato al termine della sua vita”. Ripensando alla morte del figlio e della nuora, Agostino sa che non si tratta solo di un fatto che riguarda la sua famiglia. “Non ci possono essere segreti su questa vicenda così drammatica, che non riguarda solo due genitori, solo una famiglia, ma l’intero paese”. Nino lo ricorda come un ragazzo dal grande senso del dovere. Secondo quanto ricostruito dalla procura, il giovane fece parte di una squadra che andava a caccia di grandi latitanti: “E qualcuno lo tradì. Chi sa parli. E’ arrivato il momento”, dice oggi l’anziano padre.

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