A Storie Italiane si torna a parlare della vicenda riguardante l’omicidio di Pamela Mastropietro, uccisa a gennaio del 2018 in quel di Macerata. In collegamento via Skype vi sono lo zio della vittima, Valerio Verni, avvocato della famiglia, nonché la nonna Giovanna Rita. “Era ed è la mia nipotona grande – le parole della signora in diretta tv – è sempre nel mio cuore. In comunità era possibile solo una telefonata ogni 15 giorni condivisa, eravamo tutti riuniti a casa, genitori, nonni e zio. L’abbiamo poi vista una volta al mese dopo il primo mese, e poi gli ultimi giorni, dal 18 al 21 gennaio, quando siamo stati con mamma e nonno materno per stare un po’ assieme. L’ultimo ricordo è il suo sorriso splendente di quel pomeriggio verso le 17:00 del 21 gennaio. Poi non l’abbiamo sentita più. Era una ragazza fragile, e questo è un dato di fatto, ma voleva farcela, e dal 15 luglio quando è stata ricoverata volontariamente nel reparto psichiatrico del cto in Roma, ha sempre avuto la voglia di farcela, seppur con alti e bassi. Aveva chiesto al papà di portarle un ferro da stiro, un piccolo episodio che sembrvaa insignificante ma importante come testimonianza che lei si stava impegnando e voleva farcela. Anche quel 29 gennaio che lei si è allontana dalla comunità, si è allontana per tornare a casa, un fatto importante un po’ trascurato”. La signora Giovanna Rita ha inoltre voluto sottolineare: “Valeria non si è mai bucata”.



OMICIDIO PAMELA MASTROPIETRO: LA PAROLA ALLO ZIO/AVVOCATO

Lo zio e avvocato si è invece soffermato su un cavillo burocratico riguardante il processo nei confronti di uno degli imputati, Innocent Oseghale: “I legali di Oseghale – le sue parole – hanno depositato l’appello attorno alla metà di gennaio scorso, e siamo in attesa della fissazione della relativa udienza. C’è la questione di un presunto difetto di notifica riguardante alcuni accertamenti non fatti ad Oseghale quando era in carcere. Di solito in un processo penale, di ogni atto si fa una duplice copia: una per l’avvocato difensore e una per l’imputato. Quest’ultimo può scegliere se ricevere questa coppia presso se stesso o presso il legale. Quello che hanno sollevato gli avvocati di Oseghale è che quando lui era in carcere alcuni avvisi non gli sono stati notificati, in quanto c’è una norma che dice che le notifiche vanno recapitate presso l’istituto penitenziario presso cui è detenuto. Se questo verrebbe accolto, farebbe venire meno tutta una serie di atti importanti che sono irripetibili in quanto avvenuti su resti di Pamela già all’epoca esigui. Mi riferisco in particolar modo agli accertamenti tossicologici. Bisognerebbe quindi ragionare sulla restante parte degli atti, che sarebbero meno solidi. Noi contestiamo il fatto che Oseghale ha deciso di far arrivarer tutti gli avvisi al suo avvocato, e questo ha fatto la procura, di conseguenza per noi è tutto regolare”.

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