I due esecutori materiali dell’omicidio di Piersanti Mattarella sono Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese, entrambi già in carcere. A rivelare i loro nomi è Repubblica, che già ieri aveva anticipato la svolta nel cold case. In particolare, è stato il boss mafioso Madonia a sparare sei colpi di pistola contro il governatore siciliano, fratello dell’attuale presidente della Repubblica italiana, invece Lucchese, uno dei pupilli dei Corleonesi, guidava l’auto della fuga.
I due sicari furono scelti dai vertici di Cosa nostra per fermare il presidente della Regione Sicilia che voleva smantellare proprio gli intrecci tra mafiosi, politici e imprenditoria. L’inchiesta del 1980 è stata riesaminata e sono stati sentiti nuovamente diversi pentiti, arrivando così a indagare Madonia e Lucchese, che all’epoca dell’omicidio di Piersanti Mattarella non avevano neanche trent’anni.
PIERSANTI MATTARELLA, UN OMICIDIO TRA DIVERSI MISTERI
A differenza di quanto ritenuto da Giovanni Falcone, non furono Fioravanti e Cavallini a uccidere Piersanti Mattarella, infatti i due membri del Nar furono assolti in tutti i gradi di giudizio. Ora nel mirino finiscono i due boss, che peraltro sono da anni in carcere, dove scontano la pena dell’ergastolo per molteplici omicidi.
Stando a quanto riportato da Repubblica, si intrecciano diversi misteri, come quello dei presunti collegamenti tra la famiglia Madonia e i servizi segreti, in base a quanto raccontato dallo stesso Riina in alcune intercettazioni. Ma come si è arrivati alla svolta nelle indagini? Decisivo è stato un guanto di pelle, perché il proprietario della 127 ritrovata nei pressi del luogo del delitto dichiarò che non era suo, quindi apparteneva agli assassini.
Nell’ufficio Corpi di reato, però, non c’era più, da qui l’ipotesi che quella prova sia stata fatta sparire. Sono emersi anche depistaggi per coprire gli assassini, da chiarire anche per scoprire eventualmente nuovi scenari sui legami tra Cosa nostra e gli ambienti deviati delle istituzioni per eliminare rapidamente Piersanti Mattarella.
LE ACCUSE (IGNORATE) DEL PENTITO MUTOLO
Chi non ha avuto dubbi sul coinvolgimento di Antonino Madonia è Gaspare Mutolo, che è stato l’autista di Totò Riina e cominciò a parlare con Paolo Borsellino, senza però fare in tempo a parlargli dell’omicidio di Piersanti Mattarella.
Dopo la strage di via D’Amelio, il pentito fece mettere a verbale il nome di Nino Madonia, spiegando che però la procura di Palermo non cambiò idea e portò a processo Giusva Fioravanti con Gilberto Cavallini, perché era la pista seguita da Giovanni Falcone. Avendo assassini esperti e spietati, non c’era bisogno per Cosa nostra di rivolgersi all’esterno, ha spiegato Mutolo, ribadendo che il “regista” fu Vito Ciancimino, contrario al cambiamento che stava apportando il governatore siciliano.