L’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, resta un mistero. Ma la procura di Palermo continua a cercare la verità. Dopo tanti anni, con la pista del “killer nero” ormai caduta, si riapre quella del killer di mafia, che i giudici della Corte d’Assise d’Appello avevano suggerito dopo la condanna dei boss della Cupola, considerati i mandanti, e l’assoluzione dei terroristi dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini. Le attenzioni dei magistrati si focalizzano su Nino Madonia, sicario usato da Totò Riina per i delitti eccellenti per i quali attualmente sta scontando l’ergastolo. Come quello del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, del segretario del Pci Pio La Torre e del commissario Ninni Cassarà.



Recentemente Nino Madonia è stato condannato anche per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio. Ad approfondire la pista dell’omicidio di Piersanti Mattarella è Repubblica, spiegando che il boss somiglia molto a Fioravanti. I giudici, infatti, nel 1998 scrissero che dall’esame delle fotografie «balza all’evidenza una solare somiglianza tra i due che hanno tratti somatici molto simili sia con riferimento al colorito degli occhi, all’altezza, al taglio e al colore dei capelli e comunque ai tratti complessivi del viso, anche l’età dei due, poi, appartiene alla stessa fascia». Tutte indicazioni che all’epoca non portarono ad alcun approfondimento, anche se erano molto dettagliate.



OMICIDIO MATTARELLA, QUELLA SOMIGLIANZA TRA FIORAVANTI E MADONIA

Ad esempio, la corte citava anche le parole del pentito Francesco Di Carlo: «Bernardo Brusca, componente della commissione provinciale, mi ha detto che il delitto Mattarella l’ha fatto Nino Madonia». Come ricostruito da Repubblica, i giudici non ritenevano logico che la mafia potesse usare killer esterni. Inoltre, l’ipotesi dello scambio di favori aveva senso per i terroristi neri, in quanto avrebbero tratto vantaggio dall’aiuto della mafia, che era radicata nel territorio. Ma questo non vale per Cosa nostra, «alla quale non fanno difetto né armi di qualsiasi tipo, né killer abili e spietati». Perché il giudice Falcone si convinse della pista nera per l’omicidio di Piersanti Mattarella? La moglie del presidente della Regione siciliana riconobbe in foto Giusva Fioravanti come l’uomo che aveva sparato. Inoltre, il pentito Cristiano Fioravanti inizialmente aveva accusato il fratello, salvo poi ritrattare.



«Ma è un riconoscimento forse viziato da quella somiglianza con Nino Madonia», ipotizzava la corte d’assise d’appello. Resta senza nome anche il complice del killer, che guidava una 127. Di sicuro, il delitto di Piersanti Mattarella fu deciso dalla commissione provinciale di Cosa nostra, all’epoca giù guidata da Salvatore Riina: temevano il suo cammino delle riforme. La sentenza, che dichiarò prescritta l’accusa di mafia per Giulio Andreotti, afferma che l’ex premier andò in gran segreto a Palermo per incontrare uno dei membri più autorevoli della commissione, il boss Stefano Bontate. Il pentito Francesco Marino Mannoia raccontò di aver sentito le grida di Bontate: «Quando Andreotti andò via, Stefano mi disse che il presidente aveva chiesto spiegazioni sull’omicidio Mattarella. E lui gli aveva urlato: “In Sicilia comandiamo noi, e se non volete cancellare completamente la Dc dovete fare come diciamo noi”».