OMICIDIO SERENA MOLLICONE, MOTIVAZIONI SENTENZA D’APPELLO

Non ci sono prove certe sul coinvolgimento della famiglia Mottola, sono stati commessi errori nell’indagine sull’omicidio Serena Mollicone e l’impianto accusatorio è stato giudicato inconsistente dalla Corte d’Appello di Roma. Queste le ragioni per le quali gli imputati sono stati assolti dall’accusa di omicidio volontario: sono nelle 59 pagine delle motivazioni depositate. Nello specifico, sono stati assolti Franco Mottola, all’epoca dei fatti maresciallo, la moglie Annamaria e il figlio Marco, insieme a due carabinieri, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano, che erano coimputati a vario titolo.



I giudici hanno evidenziato che in tutti questi anni (sono passati 23 anni dal delitto di Arce) nell’opinione pubblica si è radicata la convinzione che gli imputati siano colpevoli, ma loro non possono basarsi su questo. Un passo non giuridico che torna utile ai giudici per evidenziare le “pressioni mediatiche” riscontrate anche dalle difese. In un passaggio si cita anche Pasolini con il suo famoso j’accuse: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi“.



Infatti, gli elementi vengono giudicati incerti e contraddittori: così viene bocciato il lavoro della procura, quando afferma che non ci sono prove della colpevolezza degli imputati, quindi la condanna si fonderebbe “su fondamenta instabili“. L’incertezza dei giudici emerge anche dal passaggio in cui si rimanda alla Cassazione la valutazione della possibile mancata valorizzazione delle prove da parte loro, “magari stabilendo che le incertezze probatorie siano superabili e che i dubbi rappresentati dalle due Corti di merito siano meramente soggettivi, virtuali, immaginari e collocati nel regno sconfinato delle possibilità“.



GIUDICI BOCCIANO INDAGINI E IMPIANTO ACCUSATORIO

Nelle motivazioni si sottolinea come dopo 23 anni ci siano molti elementi sull’omicidio Serena Mollicone che non sono così netti nella loro lettura. Ad esempio, non c’è certezza riguardo la tesi della falsità dell’ordine di servizio del maresciallo, così come ci sono dubbi sull’attendibilità del testimone Santino Tuzi. Anzi, le sue dichiarazioni vengono giudicate inattendibili per le sue “minorate condizioni di lucidità, serenità e freddezza“. L’avvistamento della vittima in caserma è un indizio grave, ma resta tale, non diventa una prova. Per quanto riguarda quelle scientifiche, sono state smentite le ipotesi accusatorie.

I giudici di appello confermano che le affermazioni degli imputati non sono state convincenti, anzi sono risultate in alcuni casi incongruenti e inverosimili, ma ciò non è sufficiente per giudicarli colpevoli. Pur restando forti perplessità sui comportamenti contrastanti della famiglia Mottola, i giudici riconoscono che non hanno contribuito ai depistaggi e alle storture nelle indagini.

Non risulta credibile l’avvistamento di Marco Mottola con la vittima Serena Mollicone la mattina dell’omicidio, l’accusa non ha dimostrato il movente dello scontro che sarebbe culminato nell’aggressione e non c’è stata un’indagine approfondita sull’eventuale coinvolgimento di altre persone nell’occultamento del cadavere. La logica in questo caso non basta a “colmare le profonde lacune probatorie“. Si possono fare tante ipotesi, “anche plausibili e verosimili“, secondo i giudici sull’omicidio Serena Mollicone, d’altra parte affermano che “la ricostruzione dell’accusa presenta molte lacune“.