Omicidio Sharon Verzeni: torna a farsi vivo l’interrogativo sull’utilità di misure cautelari come allontanamento e divieto di avvicinamento nei casi in cui si abbia a che fare con persone violente. Soggetti come Moussa Sangare, il giovane indagato per l’uccisione della 33enne avvenuta a Terno d’Isola (Bergamo) tra il 29 e il 30 luglio scorsi che era stato già denunciato per maltrattamenti in famiglia e mandato via di casa da madre e sorella.



Nessuno ha fatto niente quando abbiamo segnalato la sua pericolosità“. Suona come un mantra il racconto di un residente della zona che, dopo la svolta nelle indagini sul delitto, ha dichiarato di aver chiamato più volte carabinieri e polizia locale senza però ottenere un riscontro. Al netto delle maglie strettissime che imbrigliano le possibilità di intervento di forze dell’ordine e amministrazioni comunali, resta da chiedersi se la morte di Sharon Verzeni si poteva evitare e, soprattutto, come.



Una domanda impegnativa e necessaria, alla luce di quella che, secondo quanto dichiarato dall’avvocata e senatrice della Lega Giulia Bongiorno al Giornale, è una falla da risolvere nell’attuale sistema di tutela delle vittime di violenza: Dopo le denunce, è essenziale un’immediata e adeguata valutazione dei casi. Da quel che leggo, sarebbe stata applicata solo la misura dell’allontanamento da casa (…). Nei casi di violenza, troppo spesso le misure cautelari come allontanamento e divieto di avvicinamento sono del tutto inutili“.

Omicidio Sharon Verzeni: Moussa Sangare “voleva tenere il coltello come ricordo”

Sul fronte della cronaca, emergono nuovi elementi a comporre il ritratto del presunto omicida Moussa Sangare, 31enne nato in una famiglia originaria del Mali con la passione per il rap (e diverse collaborazioni importanti alle spalle) e una storia di escalation di violenza esplosa inizialmente tra le mura domestiche al punto da spingere madre e sorella a chiedere aiuto alle autorità.



Secondo i più recenti sviluppi dell’inchiesta, il ragazzo accusato dell’omicidio di Sharon Verzeni avrebbe agito senza un preciso movente, mosso dalla volontà di “eliminare qualcuno” a caso dopo essersi allenato a sferrare coltellate usando una sagoma in cartone. E dopo aver coltivato, chissà per quanto tempo, quel proposito di morte. Ansa riporta che avrebbe voluto tenere l’arma del delitto come ricordo, un grosso coltello da cucina trovato dagli investigatori (su sua indicazione) sepolto vicino all’argine dell’Adda.

Moussa Sangare, secondo quanto emerso sul quadro accusatorio, avrebbe scelto attentamente il “bersaglio più fragile” lungo il percorso compiuto quella notte in bicicletta per le vie di Terno d’Isola. Prima di accoltellare a morte Sharon Verzeni, avrebbe minacciato due minorenni con una lama, verosimilmente uno dei quattro coltelli che avrebbe portato con sé con l’intento di uccidere.