OMICIDIO SIMONETTA CESARONI, LO SCOOP DI MATRIX

Tra le controversie che si sono intrecciate attorno all’omicidio Simonetta Cesaroni, al centro dello speciale “Via Poma, un mistero italiano“, in onda oggi, mercoledì 7 agosto 2024, alle ore 23:35 su Rai 3, c’è senza dubbio il caso “Matrix”. Era il gennaio 2007 quando, durante uno speciale del programma condotto su Canale 5 da Enrico Mentana, venne data la notizia che la procura di Roma aveva individuato il nome dell’assassino, perché i carabinieri del Ris avevano isolato sul corpetto della ragazza, che era stata uccisa nel 1990, un dna attribuibile a una persona.



Il giornalista dedicò due puntate alla vicenda, rivelando in anticipo che era nota l’identità della persona, che poi si scoprì essere Raniero Busco, ex fidanzato della vittima che venne condannato in primo grado, poi assolto in appello e Cassazione. All’epoca lo scoop fece scalpore e scatenò diverse polemiche. Il pm Roberto Cavallone giudicò grave quella fuga di notizie, perché riteneva che avesse compromesso l’indagine, per cui il giornalista e la collega Ilaria Cavo, che aveva curato i reportage sulle ultime notizie riguardanti il caso, furono iscritti nel registro degli indagati insieme al medico legale consulente per l’istruttoria, Roberto Testi.



LO SCONTRO TRA IL PM DI ROMA ED ENRICO MENTANA

Mentana, che non fece esplicitamente il nome di Raniero Busco, spiegò che il dna apparteneva a un ex fidanzato della vittima, un giovane operaio, poi si difese in tv spiegando che, prima che andasse in onda il programma, già diverse agenzie di stampa avevano cominciato a pubblicare su Internet la notizia della traccia di dna isolata e l’identità della persona a cui apparteneva.

Il pm Roberto Cavallone attaccò il giornalista anche in riferimento a un’affermazione fatta durante lo speciale, cioè che le notizie sul delitto di via Poma erano state «autorizzate o, comunque, non ostacolate dalla magistratura», chiarendo che tale circostanza era falsa. Infatti, il pm andò all’attacco del conduttore spiegando che in quel momento «sapeva di affermare una cosa non vera e diffamatoria nei miei confronti».



Se il giornalista non smentì nulla dello scoop, spiegando che le notizie date erano state da lui «personalmente verificate su fonti diverse», il pm rimarcò che la prova scientifica non bastava per individuare l’assassino di Simonetta Cesaroni, ma poteva essere un tassello di un puzzle che stavano ricostruendo.