Omicidio Simonetta Cesaroni, a più di 30 anni dalla morte della segretaria 20enne avvenuta il 7 agosto 1990, restano ancora molti i misteri irrisolti di uno tra i più complicati casi di cronaca nera d’Italia, conosciuto anche come il delitto di Via Poma. Il crimine, raccontato dal documentario Rai “Via Poma un mistero italiano“, ripercorre le varie tappe fondamentali delle indagini, partite proprio dal ritrovamento del cadavere di Simonetta, ricostruendo anche il lungo processo che negli anni ha portato a stabilire alcune responsabilità, senza mai però arrivare al nome del vero colpevole. Fino all’ultima inchiesta per omicidio volontario, aperta su richiesta della famiglia dalla Procura di Roma a marzo 2022, e poi successivamente archiviata per mancanza di elementi utili.



Nonostante le nuove testimonianze infatti, non è ancora emerso alcun dettaglio che possa far finalmente luce sulle ombre che hanno segnato l’omicidio fin dall’inizio, con un lungo procedimento giudiziario caratterizzato anche da depistaggi ed errori, che ha visto la partecipazione come imputati di numerosi personaggi, dal fidanzato di Simonetta Cesaroni al portiere del palazzo di Via Poma, arrivando poi anche a sospettare il coinvolgimento della criminalità organizzata e la banda della Magliana.



Omicidio Simonetta Cesaroni, la storia del delitto di Via Poma: un mistero ancora irrisolto

La storia dell’omicidio Simonetta Cesaroni inizia la sera del 7 agosto 1990, quando i familiari della 21enne, che lavorava come segretaria presso l’Associazione Italiana Alberghi per la Gioventù, si recano nello stabile di Via Poma, perchè preoccupati dal fatto che la ragazza non fosse tornata a casa senza avvertire. Alle 21 e 30 grazie all’aiuto del portiere del palazzo, riescono ad entrare nell’ufficio e si trovano davanti alla scena del delitto. Simonetta era nuda con le gambe divaricate e con indosso solo il reggiseno alzato.



Dall’autopsia emergerà che il decesso è stato causato da un trauma alla testa ma l’assassino aveva infierito sul cadavere con un arma appuntita, forse un tagliacarte. Da subito le indagini si concentrano sui personaggi che frequentavano Simonetta. A partire proprio dal portiere Pietrino Vanacore, accusato per una macchia di sangue sui pantaloni e perchè non riuscì a fornire un alibi nell’orario del delitto. Tuttavia nel processo vennero poi coinvolti anche altri nomi, compreso Raniero Busco fidanzato di Simonetta. Ognuno con indizi a carico significativi ma che non sono mai stati sufficienti a stabilire una esatta colpevolezza per chiudere il caso. Ancora oggi i familiari di Simonetta Cesaroni attendono di conoscere la verità.