34 anni fa, l’omicidio Simonetta Cesaroni, 20enne trovata senza vita nell’ufficio romano dell’Aiag (Associazione italiana alberghi della gioventù) di via Poma, dove lavorava come segretaria, la sera del 7 agosto 1990. Vi si era recata nel primo pomeriggio, quando mancavano poche ore all’inizio delle sue vacanze. Venne assassinata da un killer mai identificato nonostante indagini e processi, ipotesi, sospetti e piste alternative che da decenni riempiono fascicoli e cronache legati al cold case.
Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni resta quindi un mistero. Tra gli scenari precipitati al centro del giallo di via Poma, persino quello di un presunto coinvolgimento della Banda della Magliana. Mai un riscontro, però, che potesse portare alla svolta decisiva per arrivare all’assassino.
Omicidio Simonetta Cesaroni, il delitto di via Poma
Teatro del delitto di via Poma, gli uffici dell’Associazione alberghi della gioventù di Roma dove Simonetta Cesaroni aveva assunto il ruolo di segretaria. La ragazza sarebbe stata uccisa tra le 17:30 e le 18:30 del 7 agosto 1990 e il decesso, secondo l’autopsia, sarebbe stato causato da un trauma alla testa.
Il ritrovamento del corpo di Simonetta Cesaroni, riverso sul pavimento, avvenne a tarda sera. A fare la macabra scoperta furono la sorella, Paola, il suo fidanzato e il datore di lavoro di Simonetta Cesaroni, Salvatore Volponi. Il cadavere fu rinvenuto con le gambe divaricate, senza slip e con il reggiseno sollevato. L’esame autoptico attestò che la giovane fu colpita 29 volte in varie parti con un’arma che si ipotizzò essere un tagliacarte. Il consulente della famiglia della vittima, Franco Posa, nel 2024 sarebbe giunto a una conclusione diversa: l’oggetto non sarebbe compatibile con le ferite riportate da Simonetta Cesaroni.
Indagini e processi sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, da Pietrino Vanacore a Raniero Busco
Decenni di ipotesi, indagini e processi non hanno risolto il giallo che avvolge l’omicidio di Simonetta Cesaroni. L’assassino, se vivo, è ancora a piede libero e non è mai stato assicurato alla giustizia. Il primo a finire nel cono dei sospetti, come ricostruisce Sky Tg24, fu il portiere dello stabile di via Poma in cui avvenne il delitto, Pietrino Vanacore. Indagato e arrestato pochi giorni dopo la morte della 20enne, avrebbe trascorso 26 giorni in carcere. Fu poi prosciolto e morì suicida nel 2010 – avrebbe lasciato un cartello con la scritta “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio” – prima di testimoniare nel processo che si celebrava a carico di un altro sospettato per l’omicidio di Simonetta Cesaroni, Raniero Busco, fidanzato della vittima al momento dei fatti.
2 anni dopo l’omicidio, nel mirino degli inquirenti finì Federico Valle, nipote di un architetto che viveva nello stabile di via Poma dove si consumò il delitto. Il suo nome piombò tra i sospettati su impulso delle dichiarazioni di un conoscente della madre, Roland Voller, che riferì ai pm di aver ricevuto una confidenza dalla donna: il figlio sarebbe stato in via Poma all’ora dell’omicidio di Simonetta Cesaroni e sarebbe tornato a casa sporco di sangue. Il filone d’indagine su Valle sarebbe però sfociato in un altro nulla di fatto. A carico del ragazzo, come di Vanacore, nessuna prova concreta e quindi si arrivò al proscioglimento. Successivamente, la lente investigativa si posò su Raniero Busco, finito a processo per l’uccisione della fidanzata e allora considerato sospettato numero 1. I segni di un presunto morso sul seno della vittima, ritenuto compatibile con l’arcata dentale dell’allora imputato, avrebbero contribuito al quadro accusatorio. Condannato a 24 anni di carcere in primo grado nel 2011, fu assolto in appello l’anno seguente e in via definitiva, con sentenza della Cassazione che confermò la sua estraneità al delitto, nel 2014. Nel 2023, la richiesta di archiviazione della nuova inchiesta che fu aperta nel 2022 dalla Procura di Roma. Il fascicolo fu aperto dopo un nuovo esposto della famiglia, ma ancora oggi nessuna verità.