Omicidio Simonetta Cesaroni, nel corso delle indagini effettuate sul caso del delitto di Via Poma, a partire dai primi giorni dal ritrovamento del corpo, si sono susseguite numerose ipotesi in merito al nome dell’assassino che quel pomeriggio del 7 agosto ha ucciso la segretaria 21enne nell’ufficio nel quale lavorava. I sospetti furono molti, incastrati da indizi, testimonianze e prove differenti, ma che non furono mai abbastanza per risolvere definitivamente il giallo. La prima inchiesta si era concentrata sul portiere dello stabile nel quale aveva sede l’associazione Alberghi della Goventù. Pietro Vanacore, detto Pietrino fu il primo fermato. I Carabinieri stabilirono la sua colpevolezza grazie ad una macchia di sangue sui pantaloni e del mancato alibi durante l’orario dell’omicidio, ipotizzando una aggressione a sfondo sessuale.



Pietrino Vanacore venne arrestato tre giorni dopo, ma poi rilasciato. Scagionato dall’esame del Dna che non risultò compatibile con quello di Simonetta. A 20 anni dal delitto, il portiere si suicidò gettandosi in mare e lasciando un biglietto nel quale spiegava che il coinvolgimento nella vicenda gli aveva rovinato la vita: “Vent’anni di sospetti ti portano al suicidio“. Anche suo figlio Mario Vanacore, che abitava nel palazzo di Via Poma con la famiglia fu accusato dell’omicidio, sempre per tentata violenza sessuale. Nonostante la provata innocenza, resteranno i dubbi circa il suo coinvolgimento nel ripulire la scena del crimine su ordine di qualcun altro.



Omicidio Simonetta Cesaroni, Federico Valle tra i sospettati, scagionato per mancanza di prove

Il secondo indiziato, sospettato dell’omicidio Simonetta Cesaroni, fu Federico Valle. Il nipote di Cesare Valle, architetto che aveva lo studio proprio all’interno dello stabile di Via Poma. Secondo le indagini, che iniziarono concentrandosi su di lui grazie ad una telefonata che ne suggerì il nome. Secondo la testimonianza fornita da un austriaco che in quel periodo era in contatto con la famiglia, Valle avrebbe ucciso Simonetta a causa della gelosia nei confronti della relazione clandestina che la ragazza aveva con l’architetto.



Nei dettagli forniti alle forze dell’ordine il testimone rivelò anche che Federico Valle rientrò nel suo appartamento, in un orario compatibile con quello del delitto, completamente sporco di sangue. Inizialmente quindi partecipò al processo, ma l’ipotesi di colpevolezza fu subito smontata grazie a diverse prove. La prima fu che la polizia stabilì che la fonte della testimonianza non poteva essere considerata attendibile. La seconda è che nonostante le analisi non emerse alcuna compatibilità di tracce che potevano essere attribuite al Dna di Simonetta. Il ragazzo quindi venne scagionato e dichiarato innocente proprio per mancanza di prove sufficienti a suo carico.

Delitto Via Poma, Pietro Busco, fidanzato di Simonetta Cesaroni condannato a 24 anni e poi assolto

Raniero Busco era il fidanzato di Simonetta Cesaroni, in base alle testimonianze fornite nel corso del processo emerse che i due avevano una relazione piuttosto burrascosa. Per la procura,  dopo aver scagionato gli atri sospettati, era evidente che lui diventò l’indiziato numero 1. Sempre seguendo la pista del delitto a sfondo passionale, le indagini si concentrarono sull’analisi di alcune tracce biologiche ritrovate sia sui vestiti di Busco che sul corpo di Simonetta. La compatibilità del Dna e del gruppo sanguigno sui vestiti del presunto assassino e soprattutto le tracce di saliva sul seno di Simonetta, portarono a pensare che l’aggressione fosse stata compiuta proprio dal partner della ragazza.

Busco fu inizialmente condannato a 24 anni, ma poi grazie al lavoro degli avvocati ed anche a causa di una poca accuratezza nelle analisi iniziali, venne stabilito che l’indizio principale potesse essere stato lasciato anche la sera prima del delitto e fu difficile provare che si trattasse davvero di un morso dato durante l’omicidio. Quindi una volta ribaltata la sentenza, Raniero Busco viene assolto definitivamente.