Si è conclusa da poche ore l’autopsia sul corpo del 17enne Thomas Luciani, ucciso domenica scorsa nel cuore di un parco pubblico di Pescara, il Baden Powell, con 25 coltellate che per gli inquirenti sarebbero state inferte da due coetanei della vittima. I giovani indagati, attualmente in un custodia presso un istituto per minori, avrebbero agito per futili motivi, forse per un debito di droga di poche centinaia di euro, e con particolare ferocia per poi andare abbandonare il corpo dietro un cespuglio e andare al mare come se nulla fosse. Secondo il racconto di un amico testimone oculare dei fatti, avrebbero infierito sulla vittima con sputi, calci e insulti anche quando era a terra agonizzante e gli avrebbero intimato di stare zitto mentre cercava di chiedere aiuto.



Un resoconto agghiacciante che ha sconvolto anche gli inquirenti e lo stesso procuratore capo di Pescara, Giuseppe Bellelli, giunto sul posto insieme alle forze dell’ordine dopo l’allarme lanciato da uno dei ragazzi del gruppo di cui farebbero parte i presunti responsabili del delitto, uno figlio di un carabiniere e l’altro di un avvocato. Bellelli è intervenuto ai microfoni del programma Zona Bianca, su Rete 4, spiegando di essersi trovato davanti ad una scena terribile e allo strazio per l’atroce morte di un ragazzo che, ha spiegato, per via di una vita difficile sarebbe rimasto “indietro” e per questo sarebbe diventato un bersaglio più facile da colpire. “Di fronte a questo figlio, raggomitolato dietro un cespuglio, oltre al dolore si prova la tenerezza e l’incredulità. Spesso non abbiamo risposte, è difficile dire perché, nulla può spiegare un fatto del genere se non un disagio più che sociale, culturale (…). C’è qualcuno che approfitta della propria posizione di vantaggio, della forza, della prepotenza, della violenza (…)“. I giovani, ha concluso il procuratore capo del capoluogo abruzzese, non hanno la capacità di “distinguere il bene dal male neppure a livelli elementari“.



Thomas Luciani, convalidato il fermo dei due minorenni indagati per l’omicidio. Il gip: “Unico intento causare sofferenza e morte”

Nel provvedimento del procuratore capo del Tribunale per i Minorenni di L’Aquila, David Mancini, riporta RaiNews, si legge che i due giovani indagati per l’uccisione di Thomas Luciani avrebbero inflitto “un totale di circa 25 colpi” con un coltello – 15 uno e 10 l’altro, passandosi la stessa arma durante la fase cruciale del delitto – e avrebbero raggiunto la vittima in punti vitali causandone il decesso.



Thomas Luciani, secondo la ricostruzione del pm, avrebbe subito sevizie anche mentre era in agonia, assassinato brutalmente per un movente che sarebbe legato ad un piccolo debito di droga contratto con uno dei due minorenni fermati. Durante l’interrogatorio, al cui esito il gip del Tribunale dei Minori, Roberto Ferrari, ha convalidato il fermo disponendo per entrambi la custodia cautelare presso un istituto per minorenni, i due giovanissimi indagati si sarebbero avvalsi della facoltà di non rispondere. Secondo quanto tracciato dal giudice per le indagini preliminari, l’unico scopo dei presunti responsabili sarebbe stato “quello di cagionare sofferenza e morte“. Gli elementi finora raccolti a carico degli indagati evidenzierebbero che l’azione omicidiaria sarebbe scaturita da un “impulso lesivo” teso ad uccidere.

Thomas Luciani, l’esito dell’autopsia: “Shock emorragico irreversibile da lesioni ai polmoni”

L’autopsia sul corpo di Thomas Luciani, durata circa 6 ore, avrebbe già restituito un quadro abbastanza chiaro delle cause della morte del 17enne: le lesioni che hanno provocato il decesso, avvenuto in poco tempo, avrebbero interessato in modo particolare i polmoni e da ciò sarebbe derivato uno “shock emorragico irreversibile“. L’esame autoptico avrebbe permesso di fotografare in modo puntuale la dinamica dell’efferato delitto permettendo di ricostruire la sequenza di colpi inferti a danno di diversi punti vitali della vittima. La relazione conclusiva del medico legale è attesa entro 60 giorni.

Dopo aver ucciso Thomas Luciani, i due indagati sarebbero andati a fare un bagno al mare con alcuni amici, come se nulla fosse, ed è lì che, stando alla testimonianza di uno dei ragazzi sentito a sommarie informazioni, si sarebbero disfatti dell’arma del delitto. Uno dei fermati per l’omicidio si sarebbe persino fatto un selfie nella stessa località balneare dove, sempre secondo il testimone, entrambi avrebbero fatto macabre battute sull’uccisione del 17enne. A lanciare l’allarme, denunciando tutto alla polizia, sarebbe stato un altro ragazzo della comitiva che non avrebbe obbedito al silenzio imposto dai presunti assassini. Un muro di omertà che, nella loro mente, avrebbe potuto garantirgli l’impunità nonostante l’orrore commesso senza pietà e, come evidenziato dai magistrati, nella totale assenza di empatia. La questione del presunto debito non saldato sarebbe stata un semplice pretesto per agire con l’obiettivo di ammazzare Thomas Luciani, accanendosi su di lui con sputi, calci e una sigaretta spenta sul volto quando era ormai esanime a terra.