L’omicidio di Voghera, quello in cui un 39enne di origini marocchine, Youns El Boussettaoui, è stato ucciso con un colpo di pistola da Massimo Adriatici (Lega), ex assessore comunale alla Sicurezza e avvocato penalista, davanti al bar Ligure. Sulle colonne del quotidiano “La Repubblica”, la sorella della vittima, Bahijia, di 5 anni più giovane di Youns e mamma di tre figli, è intervenuta affinché i riflettori sull’accaduto non si spengano anzitempo. Adriatici in questo momento è agli arresti domiciliari, ma la donna annuncia che non si fermerà, “finché non avremo giustizia. Non sono sola: oltre alla mia famiglia, vedo che tante persone vengono ad ascoltarmi. A Bologna c’erano tanti italiani che gridavano ‘giustizia per Youns’, molti di loro piangevano. La gente si sta rendendo conto”.
Bahijia El Boussettaoui ha sottolineato che una tragedia analoga è stata vissuta anche da altre persone, purtroppo, e, a tal proposito, ha menzionato Ilaria Cucchi, che “ha una storia simile alla mia, anche lei avrà perso la voce per difendere un fratello debole e fragile, ammazzato senza perché. Ha fatto una battaglia, sono anni che chiede verità. Io spero di essere forte come lei, e le chiedo che mi aiuti, così come chiedo aiuto alle persone perbene, e ai testimoni. Chi ha visto, chi può aiutarci ad avere un processo pulito, si faccia avanti”.
OMICIDIO VOGHERA, LA SORELLA DI YOUNS: “ADRIATICI UOMO POTENTE”
Nel prosieguo del suo intervento su “La Repubblica”, la sorella di Youns ha rivelato di temere Adriatici, in quanto “uomo potente”, mentre lei è “solo la sorella di un povero marocchino”. La vittima dell’omicidio di Voghera, padre di due bambini, negli ultimi tempi non stava bene: in origine aveva un negozio di telefonia a Biella, poi quell’attività ha chiuso e si è convertito in operaio di una fabbrica meccanica. Un anno fa, per ammissione della stessa intervistata, l’uomo ha iniziato ad accusare problemi di salute e il lockdown non ha potuto fare altro che peggiorare le cose: “Vedeva e sentiva cose strane, era spesso confuso”.
Aveva anche commesso alcuni reati: “Era pregiudicato per spaccio, ma non ha mai commesso violenze. Per molto tempo ha lottato, negli ultimi tre mesi è peggiorato. Dopo un Tso a Vercelli, è scappato”. La cosa che ha fatto più male alla donna è stato il mancato avviso della morte del fratello, che lei e la sua famiglia credevano soltanto ferito in ospedale. Poi, subito dopo, “l’autopsia fatta così in fretta. Mio padre 20 giorni fa ha lasciato le fotocopie dei suoi documenti alla polizia, ai carabinieri, in ospedale. Invece hanno fatto come se fosse solo al mondo. Adesso spero nella Procura e nei giudici, che siano imparziali, non si facciano influenzare dal potere di quell’assassino. Tutto è già chiarissimo: un pugno contro una pistola. Chiedo solo giustizia. Non è normale morire così, in Italia”.