Potrebbe riaprirsi il caso di Yara Gambirasio. Il verdetto, che ha inchiodato Massimo Bossetti all’ergastolo per l’omicidio, potrebbe essere rimesso in discussione. Lo spera l’avvocato Claudio Salvagni, legale del muratore di Mapello. La sentenza della Cassazione del 19 maggio scorso consente alla difesa “il solo accesso e la sola osservazione dei reperti“. Si tratta delle 54 provette di Dna che portarono all’identità di “Ignoto 1“. Stando a quanto riportato da Repubblica, forse Bossetti potrà chiedere di effettuare “eventuali attività ulteriori” se, come indicato dalla Suprema Corte, “all’esito della ricognizione e sulla base del verbale che la documenterà” il suo legale ne farà richiesta. Un giudice dovrà decidere se rifare le analisi. Il processo al processo non appare più un’ipotesi remota.
Merito soprattutto del lavoro svolto dalla difesa, che ritiene Massimo Bossetti vittima dell’opinione pubblica “forcaiola” e della volontà della giustizia di “dare giustificazione alle ingenti spese sostenute, in gran parte ingiustificate“. In effetti, l’inchiesta su “Ignoto 1” resta quella col più alto impiego di denaro pubblico. Repubblica parla di oltre 3 milioni di euro. Nel frattempo, si attendono aggiornamento riguardo il fascicolo aperto nel dicembre 2022 a Venezia per frode processuale, cioè depistaggio, in cui è indagata Letizia Ruggeri, pubblico ministero titolare dell’inchiesta sull’omicidio di Yara Gambirasio. L’accusa è di aver manipolato i reperti. Da questo procedimento passerà una parte di onorabilità della giustizia penale, e non solo.
LA CACCIA A IGNOTO 1 E LE SCOPERTE “COLLATERALI”
Ma torniamo a “Ignoto 1“. La caccia fu impressionante. Circolò anche l’idea di uno screening univerale, un prelievo generale per schedare tutti, ma fu poi abbandonata. I carabinieri del Ris di Parma, però, passarono al setaccio 9.488 profili di Dna, la Scientifica ne esaminò 4.897, senza dimenticare gli altri 7.435 campioni nei laboratori. Si sfiorarono le 22mila unità. Da sommare alle carte, come quelle di identità dei 31.926 iscritti alle Sabbie Mobili, la discoteca affacciata vicino al luogo del ritrovamento di Yara Gambirasio. I contatti telefonici distillati dalle celle telefoniche nei dintorni di Brembate, limitati al giorno della scomparsa di Yara, furono oltre 120mila. Una matassa enorme nella quale gli investigatori si districarono.
Un tesoro di dati sensibili che portò anche alla scoperta che il 15% delle persone analizzate aveva un padre diverso da quello dichiarato sullo stato di famiglie, come Massimo Bosetti, che scoprì di essere figlio del defunto autista Giuseppe Guerinoni. Massimo Pisa su Repubblica evidenzia anche il ruolo dell’allora maresciallo dei carabinieri Giuseppe Mocerino. “Le sue richieste discrete di informazioni, i sussurri alle orecchie degli anziani, degli amici di Guerinoni veri e potenziali. Si trattava di violare un segreto, in cambio garantì anonimato. Mezza parola. La raccolse. Si fidarono. Perché la chiave di ogni mistero finisce sempre in mano umana. E il maresciallo Mocerino, ora tenente in pensione, era hombre vertical“.