Il 26 novembre 2010, la 13enne Yara Gambirasio esce per l’ultima volta di casa diretta alla palestra di Brembate di Sopra (Bergamo) dove si allena con il sogno di un grande futuro da ginnasta. Quel giorno resterà impresso come l’inizio di uno dei più terribili casi della cronaca nera italiana, risolto con la condanna definitiva all’ergastolo a carico di un muratore di Mapello identificato all’esito di un’indagine senza precedenti su migliaia di campioni di Dna: Massimo Bossetti. Per i 3 mesi successivi Yara Gambirasio è una minorenne scomparsa, mentre la famiglia rilancia disperati appelli e le ricerche battono ogni pista possibile. Fino al 26 febbraio 2011, quando il corpo viene trovato da un aeromodellista che si trova a dover recuperare il suo modellino caduto nella zona di un campo a Chignolo d’Isola. È lì, tra la cruda vegetazione in prossimità della fine dell’inverno, che il cadavere della ragazzina giace in posizione supina, braccia e gambe divaricate. Addosso, gli stessi indumenti del giorno in cui è sparita.



Per trovare il killer, la Procura di Bergamo innesca una caccia all’uomo che parte da un dato a cui dare un nome e un volto: la traccia 31G20 – denominata “Ignoto 1” – isolata sugli slip della vittima e che, secondo gli inquirenti, è sicuramente riconducibile all’autore del delitto. Si tratta della traccia che la difesa di Bossetti proverà invano a rianalizzare per anni durante i tre gradi di giudizio e poi con l’obiettivo di arrivare alla revisione del processo, convinta che ci sia stato un errore. Gli avvocati del condannato, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, sottolineano l’evidenza di altri soggetti “ignoti” che per l’accusa non hanno alcuna rilevanza nella geometria dell’omicidio di Yara Gambirasio: su un fazzoletto sporco di sangue, rinvenuto a circa 100 metri dal cadavere, e sui guanti di Yara Gambirasio si trovano due profili genetici maschili e uno femminile (quest’ultimo sulla punta del dito medio del guanto sinistro). Inseriti nelle banche dati a disposizione di chi indaga, però, non restituiscono nessun riscontro. Intanto emergono i risultati dell’autopsia: la 13enne sarebbe morta a seguito di un concorso di fattori, dalle lesioni da punta e taglio in varie parti del corpo allo stato di ipotermia per la prolungata esposizione al freddo.



Omicidio di Yara Gambirasio: da “Ignoto 1” a Massimo Bossetti

Massimo Bossetti viene inchiodato dall’analisi del Dna, con la comparazione tra un campione che gli viene prelevato con la scusa di un controllo di routine sul tasso alcolemico, durante un posto di blocco, e quanto repertato sulle mutandine di Yara Gambirasio. Ma per arrivare a lui, gli investigatori giocano una partita che non ha precedenti nella cronaca italiana: l’analisi di migliaia di campioni prelevati agli abitanti di una vasta area intorno alla scena del crimine, a partire dai frequentatori di una discoteca vicina al luogo del ritrovamento del corpo tra i quali viene scovato un profilo genetico degno di interesse. Si tratta di un parente di Giuseppe Guerinoni, autista di Gorno deceduto nel 1999 che si scopre essere il padre di Ignoto 1, suo figlio illegittimo.



L’esame del profilo genetico isolato in sede di indagini consente di appurare che la madre del misterioso soggetto è Ester Arzuffi, che avrebbe avuto una relazione extraconiugale con l’ormai defunto Guerinoni dalla quale ha avuto due gemelli, Laura e Massimo Bossetti. Bingo. Il quadro accusatorio a carico del muratore di Mapello, per la Procura di Bergamo, è granitico e inscalfibile. Un muro di certezze investigative impenetrabile che resterà tale anche quando la difesa, in sede di giudizio, proverà a demolirlo chiedendo una nuova perizia su reperti e Dna. Accertamenti mai accolti L’arresto di Massimo Bossetti avviene poco dopo il finto etilometro a cui è stato sottoposto. È il 16 giugno 2014 e non uscirà più dal carcere. Ancora prima dell’iter giudiziario, prende il via il processo mediatico: “Individuato l’assassino di Yara Gambirasio“. A scriverlo, nelle caldissime ore dell’inchiesta mentre si consuma il plateale arresto di Massimo Bossetti in barba alle più elementari coordinate della presunzione di innocenza – ripreso con le manette ai polsi e “giudicato” sui social persino dalle istituzioni, ancor prima di essere imputato – è l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano in un tweet che, come l’indagine, non ha precedenti.

Omicidio Yara Gambirasio, la condanna di Massimo Bossetti

Per l’omicidio di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti sconta l’ergastolo in via definitiva stabilito con sentenza di Cassazione nel 2018, a conferma dell’esito dei primi due gradi di giudizio. Non ha mai smesso di protestarsi innocente, nonostante la “prova regina” rappresentata dal Dna che per la Procura di Bergamo è caposaldo tra gli elementi che provano la sua colpevolezza. Il pool difensivo ha provato a scardinarlo, convinto che si tratti di un clamoroso errore giudiziario, eppure durante il processo non solo non ha mai potuto rianalizzare i reperti, materiale biologico compreso, ma le sarebbe stata preclusa persino la mera visione degli stessi.

Una “inaccettabile violazione del diritto alla difesa“, sottolinea da anni l’avvocato difensore Claudio Salvagni, alla quale i legali e i consulenti di Massimo Bossetti intendono opporre una richiesta di revisione del processo per provare a ribaltare il giudicato. Gli avvocati che lo assistono da anni, infatti, sono riusciti a ottenere la ricognizione dei reperti soltanto nel 2024, dopo una lunga battaglia nella “guerra” che ancora oggi li vede impegnati per arrivare ad analizzarli. E nello stesso anno, per la prima volta dall’inizio della sua detenzione, Massimo Bossetti ha parlato davanti alle telecamere, dal carcere di Bollate, nell’ambito della docuserie Netflix Il caso Yara. Oltre ogni ragionevole dubbio: “La pm Letizia Ruggeri mi ha distrutto la vita“.