Il 16 giugno 2014, Massimo Bossetti è stato arrestato con l’accusa di essere l’assassino di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra uccisa il 26 novembre 2010 e trovata 3 mesi più tardi in un campo di Chignolo d’Isola, in provincia di Bergamo. Sposato e padre di 3 figli, professione muratore e residente a Mapello all’epoca dei fatti, nel 2018 è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per il delitto con sentenza di Cassazione che ha confermato l’esito dei primi due gradi di giudizio.
Inchiodato dal Dna, “prova regina” nel processo a suo carico emersa dall’analisi della traccia “Ignoto 1” che gli investigatori isolarono sugli slip e sui leggings della vittima, e risultata compatibile con il suo profilo genetico. Ma a quell’esame la difesa di Massimo Bossetti non ha partecipato, e per questo ha chiesto di rianalizzare tutto senza però vedere accolta la sua istanza. Da allora, legali e consulenti del detenuto insistono per ottenere la ripetizione degli accertamenti in contraddittorio, convinti che Massimo Bossetti sia vittima di un clamoroso errore giudiziario a cui rimediare con una revisione del processo.
La difesa di Massimo Bossetti punta alla revisione del processo per l’omicidio di Yara Gambirasio
Solo di recente, la difesa di Massimo Bossetti ha avuto modo di vedere per la prima volta i reperti dell’omicidio di Yara Gambirasio e ha reso noto di aver scoperto degli elementi potenzialmente utili al percorso per una eventuale richiesta di revisione del processo.
Li ha sintetizzati uno dei legali di Massimo Bossetti, Claudio Salvagni, ai microfoni di Crimini e Criminologia su Cusano Italia Tv: “Secondo l’accusa, Yara Gambirasio è stata uccisa in quel campo (a Chignolo d’Isola, ndr) ed è rimasta lì per 3 mesi, fino al giorno del suo ritrovamento. Noi abbiamo sempre contestato questo dato, ritenendo che fosse in contrasto con tanti altri elementi, per esempio la corificazione (del cadavere, ndr) e così via. Guardando i reperti, ci siamo accorti che la nostra teoria, che Yara Gambirasio non sia morta lì, è forse quella più accreditata. Yara Gambirasio avrebbe dovuto camminare su quel campo, quindi le scarpe dovevano essere sporche di quel terreno, sono state anche per mesi all’aperto. Le immaginavo molto compromesse e invece così non è. Sono veramente molto ben conservate, non dico che sembrino tirate fuori dalla scarpiera, ma poco ci manca“.
Oltre ai 54 campioni di Dna, trovate 23 provette di materiale genetico nel caso Yara Gambirasio
Durante la ricognizione dei reperti del caso Yara Gambirasio, la difesa ha poi scoperto la presenza di ulteriori 23 provette di diluizione del materiale sottoposto all’epoca a esame del Dna, quei 54 campioni da anni oggetti di un’aspra querelle tra accusa e difesa. Il pool difensivo di Massimo Bossetti insiste sul fatto di dover analizzare tutto e spera che si arrivi a un nuovo accertamento tecnico sebbene sia intervenuta una compromissione per via dello spostamento dei campioni dal laboratorio del San Raffaele di Milano – dove erano giustamente conservati a 80 gradi sottozero – a uno scatolone dell’Ufficio corpi di reato di Bergamo. La “prova regina” che inchiodò Massimo Bossetti, in sostanza, potrebbe essere andata distrutta con il risultato di una impossibilità di eseguire nuovi test.
Ma i legali di Massimo Bossetti non si arrendono e hanno annunciato di voler battere ogni via per arrivare ad analizzare il materiale. Per l’avvocato Salvagni e il suo collega Paolo Camporini ci sarebbe da scrivere un libro sulle contrastanti versioni fornite dalla Procura di Bergamo sulla quantità di quel reperto: “All’inizio era tanto – ha commentato Claudio Salvagni –, poi è diventato poco, poi è ritornato un’altra volta tanto, effettivamente sembrerebbe tanto perché ci sono addirittura 23 provette di diluizione. Il processo sull’omicidio di Yara Gambirasio è stato pesantemente condizionato dal fatto che si è sempre detto che le analisi erano irripetibili, invece il materiale c’era ed erano ripetibili, cosa che ci è sempre stata negata. La sentenza della Corte d’Assise d’appello e quella della Suprema Corte dicono che i campioni sono completamente esauriti, oggi abbiamo avuto la prova provata che questa affermazione è un falso storico“. Dal carcere di Bollate dove è detenuto dal 2014, Massimo Bossetti continua a dirsi innocente e invoca una nuova perizia sul Dna.