“Prigionieri del virus”, come titola Repubblica, o prigionieri della paura del Covid? La domanda sorge un po’ spontanea alla luce del fatto che, da una parte, la variante Omicron fa crescere i contagi, manda in fibrillazione il tracciamento, spinge 2 milioni di italiani in quarantena, facendo salire il numero dei soggetti che decidono per l’autoisolamento fiduciario, ma – per fortuna – dall’altra non crea altrettanto rapidamente, al passo cioè con la sua veloce trasmissibilità, un numero eccessivo di ricoveri né decessi, anche se ospedali e terapie intensive sono vicini, e in alcuni casi oltre, le soglie considerate critiche. E mentre Israele si prende una pausa di riflessione sulla quarta dose e in Francia anticipano a dopo tre mesi la dose booster, in Italia si parla di revisione dei protocolli sulle quarantene, perché il paese è a rischio di blocco. Per fare il punto sull’epidemia abbiamo parlato con Donato Greco, epidemiologo, specializzato in malattie trasmissibili, igiene e sanità pubblica e biostatistica medica, nonché componente del Cts.



Boom di infezioni, ma non di ricoveri né terapie intensive. Perché?

Due terzi dei casi sono positività al tampone eseguiti a persone asintomatiche, tanto che a Natale, avendo fatto molti meno tamponi, il numero dei contagiati è crollato da 50mila a 25mila. Ricordiamoci che siamo nel pieno della stagione invernale, quella che il Covid adora come tutti i suoi fratelli coronavirus. Però, come ha giustamente sottolineato lei, abbiamo un numero di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi 6-7 volte inferiore, perché ci siamo vaccinati: il 90% degli italiani ha ricevuto almeno una dose. E i vaccinati che si contagiano prendono una banale infezione.



Stiamo andando verso un picco di contagi? Quando potrebbe arrivare?

Non è molto prevedibile, anche se stiamo tentando di guadagnare tempo. Se le vaccinazioni continuano a procedere al ritmo di 500mila al giorno e se si recuperano i 2,5 milioni di adulti sopra i 50 anni non ancora vaccinati, e che sono in gran parte quelli che vanno poi a finire in ospedale e in terapia intensiva, è chiaro che riusciremo sempre più ad abbattere il picco. Adesso però il trend non è in diminuzione, né lo sarà prima della fine dell’anno e certamente nelle prime due settimane di gennaio.

Come convincere gli indecisi alla vaccinazione?



Non sono indecisi, è sbagliato chiamarli così.

Perché?

Sei milioni e mezzo sono gli adulti non ancora vaccinati, tra cui oltre 290mila over 80. Non mi dica che questi ultra-ottantenni sono no vax che vanno in piazza a protestare…

Però non si sono ancora vaccinati…

Sono semplicemente persone non ancora raggiunte per un difetto di sistema.

In che senso?

Il nostro grande sistema della medicina di base – abbiamo 48mila medici di famiglia e circa 6mila pediatri – non è stato pienamente coinvolto nella campagna vaccinale, che è stata condotta un po’ all’esterno degli studi medici, anche per motivi logistici. È chiaro che proprio questi medici, che sono a diretto contatto con queste persone che da gennaio a oggi hanno sentito migliaia di volte l’invito a vaccinarsi, devono a convincerli a vaccinarsi. Nelle Asl in cui ai singoli medici è stato fornito l’elenco degli assistiti non vaccinati contro il Covid, così come ricevono quello dei non vaccinati contro l’influenza, le cose sono andate decisamente meglio. È una funzione di counseling fondamentale, perché i no vax ideologicamente convinti o politicamente motivati non superano il 4-5% della popolazione. Il resto sono appunto questi soggetti non ancora raggiunti: bisogna andare da loro porta a porta, non si può procedere a vaccinare solo con gli hub.

E le terze dosi?

Le terze dosi non sono prioritarie rispetto al recupero di chi ancora non ha ricevuto neppure la prima, perché i colori delle Regioni dipendono purtroppo dalla quota di adulti non vaccinati. L’età media dei ricoveri e dei decessi è ancora oggi intorno agli 80 anni.

Ci sono però in giro anche contagiati con terza dose: dobbiamo pretendere vaccini nuovi perché gli attuali sono ormai meno efficaci?

Assolutamente no, perché l’obiettivo della vaccinazione non è eliminare l’infezione, cosa che nell’epidemiologia delle malattie infettive è un concetto inesistente. Solo in un caso, con il vaiolo, siamo riusciti a eliminare l’infezione; negli altri casi, compresa la poliomielite, dove pure siamo vicini alla sua eliminazione, ce l’abbiamo fatta.

Quindi?

Che le persone si infettino non è un danno, se non hanno sintomi. Anzi, può essere un bene, perché significa avere un booster naturale. Questi vaccini sono stati commissionati per evitare morti e feriti, non per evitare le infezioni.

Va dato atto però che la comunicazione pubblica, in questo caso, ha mandato un messaggio diverso. Molti oggi pensano che, dopo la vaccinazione, non rischiano più nulla e possono fare quello che vogliono…

È chiaramente un concetto sbagliato. Qui siamo all’abc delle malattie infettive. Noi non riusciamo a fermare il virus, che si fa i fatti suoi, si sfoga in questa stagione, e ce lo sta dimostrando in maniera plateale. Essendo un virus nuovo, ha trovato la popolazione mondiale senza memoria precedente.

In Israele parlano di quarta dose, anche se al momento frenano un po’. Un percorso da seguire?

Le quarte dosi sono ancora fantasia. Abbiamo preso come modello Israele, ma è totalmente diverso dal nostro: non solo è una zona climatica completamente diversa, ma soprattutto è un paese para-militare. Loro hanno avviato questo discorso della quarta dose senza avere dati consistenti sul follow up della terza. Se le dosi booster sono cominciate a settembre, dopo tre mesi è difficile decidere di fare la quarta. Anche perché in vaccinologia, la terza dose abitualmente dà un’immunità di lunga durata.

 Secondo l’Iss, i sieri perdono ancora efficacia: dopo 5 mesi la protezione cala dal 70% al 30%. È così?

Attenzione: vale per l’infezione, non per la malattia grave. In questo caso, infatti, il calo è di 10 punti percentuali, scende dal 92% all’82%, che è ancora un ottimo risultato.

Effetto vaccino scaduto per il 15% della popolazione. C’è il rischio insorgenza di nuove varianti?

La parola “scaduto” è del tutto impropria, sta a significare che siamo alle prese con un farmaco degenerato. Non stiamo parlando di latte che caglia. Detto questo, non si è mai visto un virus senza varianti, perché le varianti fanno parte della vita normale di qualunque virus.

La Omicron quanto deve far paura?

Abbiamo fatto tante storie con questa variante e alla fine abbiamo scoperto che è quasi meglio avere la Omicron che la Delta. La Omicron è molto meno patogena: si diffonde molto velocemente, ma di fatto è come un’influenza. Non porta in ospedale nessuno. E ormai abbiamo dati molto solidi, non solo da Israele o dal Sudafrica.

Avremo altre varianti?

Certo, ma solo perché non abbiamo una copertura molto elevata, cioè più del 90% dell’intera popolazione italiana, non solo di quella adulta. Varianti ne usciranno sempre.

Caos tamponi e quarantene: è il momento di rivedere i protocolli perché il paese rischia di bloccarsi?

È una valutazione che facciamo regolarmente, ricordando però un punto importante.

Quale?

La quarantena non serve a fermare la malattia, ma a ridurre i contagi. Il tempo della quarantena deriva dalla stima di infettività di una persona rispetto a una persona suscettibile. Siccome il tempo di incubazione del Covid varia dai 2 ai 14 giorni, con una mediana intorno a 5 giorni, la scelta della quarantena può essere più politica, basata sulla cautela, o più sociale, riducendone un po’ i tempi.

La sua idea?

Fare 900mila tamponi in un giorno significa avere ancora una popolazione che non ha capito che – anziché spendere soldi per il test, creando tanti positivi asintomatici che poi si quarantenano assieme ai loro familiari, fermando così mezzo paese – la cosa migliore sarebbe andare a vaccinarsi.

(Marco Biscella)

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