I dati sono quelli, ripetuti da giorni a livello nazionale. Ce li conferma anche il professor Emanuele Catena, direttore Uoc di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Luigi Sacco di Milano: “Circa il 70% dei pazienti ricoverati da noi in terapia intensiva sono non vaccinati”.
Il dottor Catena ci conferma anche che i sintomi sono praticamente gli stessi delle precedenti ondate di varianti Covid: “Problemi polmonari, forti febbri, polmonite bilaterale”. Aggiunge però un aspetto interessante e ancora poco dibattuto, una precisazione che dà la misura della reale durata dei vaccini in uso: “Tra i pazienti vaccinati ricoverati abbiamo persone che hanno completato i primi due cicli vaccinali da più o meno quattro mesi. Questo significa che la variante Omicron, per quanto sia molto diffusiva, non buca, come si dice in gergo, il vaccino, cioè non è particolarmente aggressiva, ma che i vaccini che stiamo utilizzando hanno una scadenza precisa”.
Il problema maggiore, conclude, è che “la diffusività della variante sta colpendo molti operatori dei nostri ospedali, anche se hanno ricevuto la terza dose. Questo significa una grossa criticità per la mancanza di personale in corsia”.
Conferma che anche da voi esiste una forte differenza tra i pazienti in terapia intensiva non vaccinati e quelli vaccinati?
Assolutamente sì. Abbiamo due popolazioni in terapia intensiva, i vaccinati e i non vaccinati. Fra i ricoverati i non vaccinati sono quasi il 70%, un dato che rispecchia la realtà nazionale.
E c’è anche una differenza di età?
Sì. I non vaccinati sono decisamente più giovani, abbiamo pazienti anche molto giovani intorno ai 50-55 anni. Il paziente vaccinato è molto più anziano, in media ha 72-73 anni.
Cosa caratterizza i ricoverati vaccinati?
Li caratterizza il fatto che la maggior parte dei vaccinati ha completato il ciclo vaccinale con la seconda dose, ma sono stati immunizzati più di quattro mesi fa. Va detto comunque che la mortalità è nettamente inferiore rispetto ai non vaccinati e il loro decorso è migliore.
Questo vuol dire che la variante Omicron “buca” il vaccino o che adesso sappiamo la durata più o meno esatta della protezione vaccinale?
A mio avviso, questi ricoveri sono legati alla durata del vaccino più che all’aggressività della variante. Questo perché i pazienti vaccinati non sappiamo se sono vittime della variante Omicron, anzi è più probabile che siano ancora vittime della Delta. Questo mi fa pensare che il contagio dipenda dalla durata del vaccino.
Quindi adesso sappiamo che la scadenza del vaccino è di quattro mesi?
Chiariamo che molti pazienti sono non responder, una piccola quota di persone che per diverse ragioni non riesce a rispondere al vaccino, in particolare non produce anticorpi specifici contro il virus. Pur vaccinati, sviluppano anticorpi protettivi molto bassi. In altri, invece, la copertura vaccinale si abbassa. La variante Omicron sembra molto più diffusiva, ma non sappiamo ancora se è così pericolosa.
Che sintomi presentano? Diversi dalle precedenti varianti?
No, la sintomatologia della malattia è pressoché identica, cambia un po’ la gravità, ma la malattia è rimasta identica.
I soliti problemi polmonari?
Sì, si tratta prevalentemente di problemi polmonari, febbre alta e polmoniti bilaterali.
Come definirebbe il quadro ospedaliero con questa nuova ondata?
Quello che ci sta molto preoccupando è una criticità che gli ospedali stanno affrontando, dovuta ai contagi fra gli gli operatori sanitari.
Peggio del 2020?
Peggio no, ma la variante Omicron ha una diffusione tale che riscontriamo positività negli operatori, anche in quelli che hanno ricevuto la terza dose. Le loro condizioni sono quasi asintomatiche, con una tipologia molto simile al raffreddore, cioè si manifesta in forma molto lieve, però osserviamo casi positività con il tampone anche in chi ha fatto la terza dose. Le persone quindi restano a casa e rischiamo di rimanere sguarniti di medici e infermieri. E questo è un problema che rischia di mettere in ginocchio gli ospedali.
(Paolo Vites)
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