“Il messaggio che voglio dare anche a nome dei miei colleghi è: siamo tutti dalla stessa parte della scienza, la nostra iniziativa, pacata e responsabile, non è di contrapposizione, ma di divulgazione scientifica obiettiva. È innanzitutto una notizia positiva, che le autorità sanitarie devono recepire per quello che è: un messaggio da chi la clinica la vive quotidianamente, perché noi abbiamo vissuto in mezzo alla malattia, perché io mi sono spaventato personalmente, ho rischiato di prenderla, ho lavorato fin dall’inizio a fianco dei miei collaboratori per salvare delle vite umane”. Alberto Zangrillo, primario di Anestesia e Rianimazione generale all’ospedale San Raffaele di Milano, difende con passione il documento, firmato pochi giorni fa con altri nove ricercatori di diverse discipline, in cui si dice che il crollo dei malati di coronavirus è ormai “inequivocabile”. Già a fine maggio, in un’intervista tv, Zangrillo fece scalpore perché affermò che “il virus clinicamente è morto”. Ora questo documento in cui si parla di un’impennata dei casi cosiddetti “debolmente positivi”, per i quali i ricercatori di tutto il mondo si stanno chiedendo se il rischio contagio esista davvero. E sull’allarme dell’Oms secondo cui il Covid si sta comportando come la Spagnola – giù in estate, ritorno in autunno mietendo molte vittime – ribatte: “Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia”.
Professore, lei sostiene con altri nove ricercatori che il crollo dei malati di coronavirus è ormai “inequivocabile”. Perché siete arrivati a questa conclusione?
I 10 firmatari hanno una caratteristica comune: sono dei clinici o persone che comunque vivono in un contesto che fa respirare l’aria dell’evidenza clinica, quindi hanno percezione esatta di quello che accade in un ospedale.
E cosa sta accadendo?
Sulla base di un primo lavoro curato dal professor Clementi, accettato e pubblicato il 4 giugno, abbiamo verificato che la carica virale naso-faringea dei tamponi eseguiti in maggio era assolutamente più bassa rispetto a una popolazione omogenea, cioè con le stesse caratteristiche, di quanto lo fosse due-tre mesi fa. Questo warning della virologia è stato poi verificato a livello italiano e internazionale, trovando più conferme. Il passaggio successivo è stato: questa evidenza di laboratorio ha anche un’evidenza clinica?
E cosa è emerso?
Io non ricovero un paziente in terapia intensiva dal 18 aprile e non ricovero di fatto dall’inizio di maggio pazienti che arrivano al pronto soccorso del San Raffaele, grande ospedale metropolitano con uno dei pronto soccorsi più importanti della città, per una sintomatologia clinica da Covid. Al San Raffaele eseguiamo il tampone a tutti i malati che vengono ricoverati per le più diverse patologie: organiche, internistiche, chirurgiche, cardiovascolari, oncologiche. Ebbene, di questi pazienti non ce n’è uno nell’ultimo mese che sia stato ricoverato qui per ragioni correlate con l’infezione da Covid.
Il vostro non potrebbe essere un caso isolato?
Dai contatti avuti con i colleghi di diversi ospedali, da Crema a Parma, da Bergamo al Niguarda, tutti dicono la stessa cosa.
Vuol dire che il virus è diventato più buono, che circola di meno o che altro?
La malattia in Italia è completamente cambiata e come l’abbiamo conosciuta nelle sue forme gravi non c’è più. Tant’è vero che tutti i trial che prevedevano la somministrazione di farmaci per andare a perlustrare l’efficacia nella malattia di taluni antinfiammatori, antivirali o immunomodulatori sono stati sospesi.
Perché?
Per mancanza di questi pazienti Covid.
È da qui che nasce la sua dichiarazione “il virus è clinicamente morto”?
Se l’ho fatto è perché ho veramente vissuto questa epidemia fin dal primo giorno, ho le idee chiare e forse anche un po’ di severità, di intolleranza verso coloro che parlano per sentito dire o verso coloro che non hanno mai visto un malato in corsia.
Il lockdown ha dunque funzionato?
Il documento firmato con Remuzzi, Bassetti, Gattinoni, Lorini e gli altri non è stato fatto per andare contro Brusaferro o Locatelli. Anzi, ho detto e confermo che non avrei voluto essere al posto del premier Conte; ho detto e confermo che Conte ha tenuto, sanitariamente parlando, il timone saldo; ho detto e confermo che ha dovuto compiere delle scelte che nella sostanza si sono rivelate vincenti e hanno fatto scuola, perché abbiamo chiuso il paese prima degli altri e forse lo abbiamo riaperto tempestivamente.
E ora?
Dal momento che gli italiani si sono comportati bene e abbiamo ribadito quali sono le norme da rispettare, ora arriva un supporto straordinario dall’evidenza clinica, che conferma i meriti dell’Iss e del governo sul fatto che le misure di contenimento hanno funzionato, meglio che in Francia, in Spagna, in Inghilterra o negli Stati Uniti. Abbiamo difeso Milano e abbiamo circoscritto l’epidemia in Lombardia nonostante il virus circolasse già tre mesi prima che fosse scoperto il paziente 1.
A tal proposito, lei si è fatto un’idea sul perché questo virus abbia colpito come uno tsunami la Lombardia?
Hanno giocato vari fattori: la densità demografica della regione, l’età media di talune zone e l’alta concentrazione di polveri sottili in Pianura Padana che possono aver influito in misura negativa sul rapporto virus-recettore.
La pubblicazione del vostro documento ha scatenato un putiferio, l’accusano di mandare segnali fuorvianti e incitare al liberi tutti. Cosa risponde?
Due cose. Innanzitutto, ci tengo a dire che noi non ci poniamo in una logica di contrapposizione, perché le nostre osservazioni si basano su un paradigma inviolabile che è la definizione di scienza. La scienza è osservazione, valutazione, calcolo, esperienza.
In secondo luogo?
Il nostro documento non dice liberi tutti, d’ora in avanti ognuno faccia come crede. Noi diciamo: se continuiamo a comportarci con buon senso, la situazione, come si vede, clinicamente sta migliorando. E penso che in determinate circostanze ambientali – gli spazi aperti o i luoghi tipici della vita estiva in montagna o al mare – si possa abbandonare col tempo anche l’uso della mascherina. Oltre al buon senso, però, la prima misura deve essere quella dell’igiene personale: stare molto attenti alla detersione delle mani.
Però improvvisamente la curva dei contagi ha ripreso a risalire…
È quella che io chiamo la tempesta dei numeri: anche oggi 250 positivi, anche oggi 50 morti… Bisogna operare una netta separazione tra la positività al tampone e la malattia. Essere positivi oggi vuol dire, il più delle volte, essere debolmente positivi, non vuol dire essere malati. Dare per automatico il passaggio tra numero dei positivi, che allo stato attuale sono per lo più debolmente positivi, e numero dei malati non è corretto.
Perché?
Perché non è così, altrimenti li avrei in ospedale.
Ma nelle ultime 48 ore si sono formati alcuni focolai – uno in un mattatoio in Germania, uno a Roma, uno in Calabria, uno a Mondragone nel Casertano e uno presso un’azienda di logistica alle porte di Bologna – che hanno richiesto l’istituzione di zone rosse. Non sono il segnale, come dicono i virologi, che il virus è ancora in circolazione e può tornare a colpire quando e come vuole?
Io non ho mai detto che il virus è scomparso, né che si sia modificato, e se qualcuno osa dire il contrario, dice una falsità. Ma dobbiamo altresì riconoscere che la carica virale ha una sua importanza. E a mio avviso la carica virale si è abbassata per le mascherine e per il distanziamento sociale. Ma questo non impedisce al virus di svilupparsi in contesti ambientali di un certo tipo. Che sono, appunto, quelli dei casi sopra citati.
Quindi non bisogna abbassare la guardia?
Ripeto: dobbiamo stare attenti, usare norme igieniche che evidentemente in quei contesti non sono state rispettate e fare in modo che all’interno degli spazi di associazione lavorativa vengano prese le opportune precauzioni. Ma a parte qualche ricovero non si è verificato nulla di particolare. Sapere che la curva epidemica in Lombardia non si azzererà mai, a me importa relativamente. Se coincide con il fatto che non ci si tornerà ad ammalare gravemente come una volta.
Secondo lei, ancora oggi si continuano a spaventare troppo le persone?
È da irresponsabili, come ha fatto il professor Crisanti, continuare a dire che a settembre l’Italia tornerà come è oggi il mattatoio in Germania.
L’Oms però fa il paragone con la Spagnola che “si comportò esattamente come il Covid: andò giù in estate e riprese ferocemente a settembre e ottobre, facendo 50 milioni di morti durante la seconda ondata”. Arriverà davvero? E a quel punto sapremo come affrontarla?
Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia, perché conosciamo il virus, sappiamo come affrontarlo terapeuticamente, come gestirlo dal punto di vista organizzativo e soprattutto perché ci sarà una maggiore coesione tra l’istituzione ospedaliera e i medici del territorio che prima non c’è stata. Al San Raffaele abbiamo studiato tutti i malati, eseguendo prelievi sierologici e prelievi a campione, per cui abbiamo creato una banca dati con migliaia di soggetti e da questi nostri studi emergeranno evidenze fondamentali per sviluppare adeguati processi terapeutici utili a tenere sotto controllo le epidemie del futuro.
È consigliabile che il prossimo autunno ci si vaccini contro l’influenza?
Sì, invito caldamente le categorie a rischio a vaccinarsi contro l’influenza.
Lei ha detto: “Il domani è bello anche dal punto di vista dell’epidemia”. Come se la immagina la convivenza con il Covid?
Sono stato il primo a metà aprile a dire: prepariamoci a convivere con il Covid. E convivere con il Covid non vuol dire suicidarsi. Dire adesso “forse non faremo tornare i bambini a scuola, non dobbiamo prendere gli aerei, dobbiamo rimanere a casa” equivale a dire che dobbiamo morire. Ma non è così.
(Marco Biscella)