L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) il 5 maggio di quest’anno ha dichiarato la fine della pandemia da Sars-CoV-2: ergo, anche questa novella “peste” ce la dovremmo essere lasciata alle spalle, con il suo enorme carico di disastri e sofferenze che hanno caratterizzato questi ultimi tre anni. Certo la dichiarazione dell’Oms, che di per sé andrebbe almeno tecnicamente commentata perché non si tratta di “verità rivelata” (ma non è questo il luogo per farlo), mette un punto fermo ufficiale a più di tre anni di pandemia: aperta con la dichiarazione dell’11 marzo 2020, consegna ai posteri (secondo le stime dell’Organizzazione) circa 20 milioni di decessi nel mondo e un numero indefinito di problematiche sociali già riscontrate, e peraltro tutte ancora da esplorare nei loro effetti a distanza.
Dal punto di vista sostanziale, almeno per quanto riguarda la vita quotidiana nel nostro Paese, non c’era bisogno di questa dichiarazione: è da tempo che non si vedono più in giro persone con la mascherina, salvo in qualche reparto di qualche ospedale; l’aggeggio protettivo comincia a scarseggiare in termini numerici anche nelle farmacie; nelle chiese (forse ancora non in tutte) si è tornati a scambiarci il segno della pace stringendoci la mano; i pochissimi (tra cui il sottoscritto) che perseverano nel coprirsi il volto con una FFP2 vengono facilmente guardati in cagnesco come potenziali portatori di sventura; gli stadi sono pieni e le manifestazioni sportive sono molto frequentate (e nessuna protezione in vista) ed i concerti sono affollati di persone appiccicate una all’altra che manifestano tutto il loro entusiasmo. E non parliamo poi delle vaccinazioni (a prescindere da qualsiasi valutazione in proposito): scomparse dalla faccia della terra ma presenti nei rimborsi richiesti dalle aziende produttrici dei vaccini.
Eppure, al venerdì, arriva puntuale il rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità a ricordarci che il virus non solo non è scomparso, ma continua a essere attivo: e giù con il consueto elenco di numero di deceduti della settimana, di infettati, di ricoverati, anche in terapia intensiva. L’inverno è finito, il periodo influenzale anche, eppure ci sono ancora decessi e ricoveri Covid. E i numeri non sono proprio da buttare via: da una parte è vero che non siamo più ai volumi degli scorsi anni, ma le cifre rimangono significative, dall’altra occorre sempre ricordarsi che i numeri non fanno solo statistica perché dietro ai numeri ci sono persone vere, volti, amici, parenti, colleghi. O siamo diventati così cinici che anche le morti e i ricoveri non sono altro che una statistica tra le tante, una raccolta di numeri che non merita più spazio nemmeno nelle pagine meno lette dei giornali.
Se non bastasse il rapporto settimanale dell’Iss a ricordarci che il virus c’è e continua la sua opera di diffusione, ci si è messo anche il Giro d’Italia. La nostra promessa ciclistica: a casa per Covid. Il più forte ciclista (almeno nelle previsioni) alla partenza: resta giusto il tempo per prendersi la maglia rosa e poi a casa anche lui grazie al Covid. Altri colleghi ciclisti: alcuni a casa anche loro e altri che continuano a correre ma sono positivi al virus. Si dirà: ma a questi il virus non fa niente. Certo, se parliamo di decessi o ricoveri: ma c’è solo questo come conseguenza della positività al virus? E se il virus è così attivo tra persone che sono giovani, perfettamente in forma, superallenati, seguiti da intere équipe di medici e sanitari, cosa si deve aspettare chi giovane (o così giovane) non lo è più, e non solo non è super allenato ed in perfetta forma, ma talvolta non è neppure seguito dal suo medico di medicina generale perché per mancanza di MMG la sua condotta è scoperta, e magari si porta dietro già di suo anche qualche altra magagna (diabete, tumore, cardiopatia, …)?
Per il direttore del massimo organismo mondiale sulla salute il Covid-19 è ora un problema sanitario che non costituisce più un’emergenza di salute pubblica di livello internazionale. ma viene degradato a semplice epidemia da controllare e gestire come qualsiasi altra malattia infettiva. Ciao ciao covid, quindi? In realtà, avverte il Direttore dell’Oms, il virus Sars-CoV-2 non è scomparso, ma continuerà a circolare in modo ampio e a evolversi, però non ha più gli attributi per i quali è necessario dichiarare lo stato pandemico: adesso si deve passare a una gestione cosiddetta ordinaria, come accade per l’influenza. Quindi: basta con le opprimenti misure di prevenzione personale (mascherine, guanti, …), che rendono le persone oltre che irriconoscibili anche più brutte nel loro aspetto esteriore; basta con la quarantena dei soggetti infetti; basta parlare di Covid. Lasciamo queste antichità ai pronto soccorso, alle residenze sanitarie per anziani: è ora di tornare alla vita normale, verrebbe da dire.
Normale? Normale per chi? Quale normalità? Speriamo almeno di avere imparato qualcosa da questa pandemia visto che voci sempre più consistenti (gufi? esperti? Oms?) ci invitano a prepararci alla prossima che sarà sicuramente (e giù un carico da novanta) peggiore. E speriamo che nel frattempo la scienza o chi per essa metta a disposizione un vaccino adeguato, visto che quelli in circolazione hanno mostrato tutti i loro limiti.
Vero o non vero? Chi può dirlo? E questa epidemia, al di là di cosa ne pensa l’Oms, è davvero da considerare finita?
Sapete cosa vi dico? Sarà l’età, saranno gli acciacchi che cominciano a farsi sentire, sarà anche la poco piacevole esperienza personale che il virus mi ha fatto sperimentare, ma io continuo a lavarmi le mani e a disinfettare tutto quello che entra in casa: e la mascherina continuo a metterla, alla faccia di chi vedendomi gira al largo non prima di avere fatto qualche movimento scaramantico, discreto e poco visibile, verso le parti nobili.
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