Nuovi studi per verificare se le mutazioni genetiche del monkeypox sono alla base della rapida diffusione del vaiolo delle scimmie. Li ha annunciati ieri l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha anche cambiato nome alle varianti del virus per evitare il rischio di stigmatizzazione. Dunque, le varianti del bacino del Congo (Africa centrale) e dell’Africa occidentale, dal nome delle due regioni in cui sono endemiche, si chiamano ora rispettivamente Clade I e Clade II. Quest’ultima ha due sottocladi, IIa e IIb, con i virus di quest’ultimo identificati come responsabili dell’attuale epidemia globale.



L’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite ha precisato che i cladi IIa e IIb sono imparentati e condividono un antenato comune recente, pertanto il IIb non è una propaggine del IIa. Per quanto riguarda il clade IIb, contiene virus del vaiolo delle scimmie raccolti negli anni ’70 e dal 2017 in poi. «Esaminando il genoma, in effetti ci sono alcune differenze genetiche tra i virus dell’attuale epidemia e quelli più vecchi del Clade IIb», ha dichiarato l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ai microfoni dell’Afp.



VAIOLO DELLE SCIMMIE, PRECISAZIONI DELL’OMS

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha precisato che «non si sa nulla sul significato di questi cambiamenti genetici e la ricerca è in corso per stabilire gli effetti (se ci sono) di queste mutazioni sulla trasmissione e sulla gravità della malattia». Quindi, è ancora preso per stabilire se l’aumento delle infezioni possa essere determinato «dai cambiamenti genotipici osservati nel virus o se sia dovuto a fattori dell’ospite (umani)», sia per quanto riguarda l’epidemia sia per quanto riguarda gli studi di laboratorio.



L’Oms ci tiene a precisare anche che non ci sono ancora informazioni sul significato delle mutazioni in termini di interazione del virus con la risposta immunitaria umana. Comunque, dall’inizio di maggio è stata segnalata un’impennata di infezioni da vaiolo delle scimmie al di fuori dei Paesi africani endemici. Infatti, il 23 luglio l’Oms ha dichiarato la situazione un’emergenza internazionale di salute pubblica. Attualmente sono stati segnalati all’Oms più di 35mila casi in 92 Paesi e 12 morti.