Mai come quest’anno l’affollato show dell’Assemblea generale dell’Onu sta confermando che – a dispetto dei politici-attori che si contendono il red carpet e il microfono sotto gli obiettivi delle tv – il grande “mondo blu” del Palazzo di Vetro non è stato in grado di partorire nemmeno un topolino.
Raramente infatti il bilancio dell’Organizzazione è apparso così deficitario in termine di risoluzione dei conflitti come quest’anno. Neppure uno degli scontri in atto nel mondo vede infatti l’Onu attore principale di mediazione o almeno compartecipe alle iniziative per il ripristino della pace o della stabilità dei Paesi interessati.
In Libano i razzi si incrociano sulla testa dei nostri soldati del contingente Unifil che sostanzialmente non toccano palla, in Ucraina le forze Onu non sono nemmeno nominate, in Myanmar ci si ammazza a volontà con l’Onu non solo totalmente assente, ma neppure capace di dire la parola “fine” alle troppe crisi politiche locali.<
Nessuno tiene più il conto della miriadi di “risoluzioni” man mano approvate (e non parliamo poi di quelle respinte con diritto di veto) dall’Assemblea generale o dal Consiglio di sicurezza, tanto che i dittatori o i colonnelli di turno continuano indisturbati a violare i principi fondamentali della Carta senza neppure più preoccuparsi di salvare la faccia.
Succede in Venezuela, per esempio, dove Maduro ha clamorosamente perso le elezioni, ma – nel disinteresse generale – governa come prima, con l’opposizione messa in galera o finita all’estero, così come avviene in Perù, o in tante zone dell’Africa e in quei trenta conflitti più o meno riconosciuti come “caldi” che qua e là per il mondo mantengono drammatiche situazioni di conflitto.
L’Onu (che peraltro è travolto dai debiti dei Paesi inadempienti, che non riescono o non vogliono perfino pagare le quote annuali) è veramente in crisi e non va meglio con le sue Agenzie di vario ordine e grado, che cercano di alleviare le sofferenze dei civili, ma – dove ci riescono – portano a bilanci costi-benefici davvero inquietanti, anche perché alle spalle dello “show” è nata, cresciuta e si è ben radicata una ressa di delegazioni, funzionari, ambasciatori e mantenuti vari che pesano come macigni sulle casse comuni, ma molto spesso senza dare concreti risultati.
Il vernissage della Plenaria è comunque da anni un “must” per i potenti della terra (salvo quelli inseguiti da mandati di cattura internazionali, non si sa mai) che arrivano, parlano per i pochi minuti loro assegnati nel disinteresse generale, salutano e se ne vanno, rigorosamente senza neppure ascoltare quello che hanno da dire gli oratori successivi. Ogni intervento è abbondantemente scontato, inserito in una “scaletta” che tiene conto dell’importanza del Paese e del ruolo che ha nel mondo e spesso perfino del fuso orario di provenienza per andare in diretta nei rispettivi Tg della sera, che è l’unica cosa che veramente sembra interessare. Alle spalle dei leader stuoli di portaborse, diplomatici, assistenti, parlamentari che approfittano di fine settembre per qualche giorno di shopping a New York ancora tiepida in questo scorcio d’estate. Resta davvero poco dello spirito originario dell’Onu, il valore almeno morale delle sue decisioni ha perso d’importanza anche per i “grandi”, che non vogliono cambiare neppure i regolamenti, si mantengono stretto il loro diritto di veto per bloccarsi a vicenda andando a volte anche contro la logica e soprattutto la giustizia in nome dei propri interessi.
D’altronde i quasi 200 Paesi partecipanti sono tutti equiparati tra loro e teoricamente San Marino e le Isole Barbados contano come gli Usa al momento del voto: principio di equità e democrazia sacrosanta, ma che si inceppa poi al momento di concretizzare qualcosa.
Anche la Meloni è venuta, ha parlato (in buon inglese, un bel passo avanti rispetto a troppi premier italiani alla Renzi che neppure lo spiaccicavano) ha raccolto un premio dalle mani di Elon Musk e se ne è tornata a Roma sull’aereo di Stato. Biden ha invece salutato tutti con una punta di commozione: comunque andrà il 5 novembre, per lui era l’ultima uscita internazionale e appare comunque già come l’ombra di se stesso. Umanamente colpisce, ma pensare che fino a due mesi fa era lui il candidato democratico resta davvero sconcertante.
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