Una risoluzione storica, la 2728 (2024), quella approvata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Perché invita al cessate il fuoco temporaneo a Gaza, in occasione del Ramadan, implicitamente auspicando che diventi definitivo, perché chiede la liberazione degli ostaggi e l’entrata nella Striscia di imprescindibili aiuti umanitari, ma soprattutto perché per la prima volta gli USA, astenendosi, non hanno opposto il veto a una decisione del genere, invisa a Israele. Si tratta di un invito, di un’esortazione, spiega Carlo Curti Gialdino, professore ordinario e docente di diritto diplomatico-consolare internazionale ed europeo nell’Università di Roma “La Sapienza”, ma che ha un notevole significato politico. Un documento che, probabilmente, pone qualche problema a Israele e induce a pensare che il governo Netanyahu dovrà tenere adeguato conto delle esortazioni contenute nella risoluzione ONU, senza tirare troppo la corda con l’amministrazione Biden. Il problema vero, comunque, sarà l’applicazione delle raccomandazioni fatte alle parti in causa, stabilire cioè, secondo quali modalità si dovrà dare attuazione alle indicazioni sul cessate il fuoco temporaneo, il rilascio degli ostaggi senza condizioni e il libero transito degli aiuti umanitari.



Professore, qual è la portata di questa risoluzione ONU, che cosa comporta?

Tutte le risoluzioni che prevedono il cessate il fuoco sono basate sull’articolo 40 della Carta delle Nazioni Unite, secondo il quale il Consiglio di sicurezza può invitare le parti a misure provvisorie al fine di prevenire l’aggravarsi della situazione. Sono misure che formano l’oggetto di una raccomandazione, non vincolando i destinatari a un contegno preciso. Questo sotto il profilo giuridico. Sotto quello politico, non si può sottovalutare l’importanza della risoluzione adottata. La proposta è stata avanzata da tutti e dieci i membri non permanenti del Consiglio di sicurezza e la risoluzione è stata adottata con 14 voti favorevoli e la sola astensione degli USA. Anche se ha “solo” natura esortatoria, questa risoluzione con il veto degli Stati Uniti non sarebbe stata approvata.



È come se gli americani avessero votato a favore?

La rappresentante degli USA in Consiglio di Sicurezza ha affermato di non essere convinta a pieno da tutti i termini della risoluzione. Si parla di cessate il fuoco, di aiuti umanitari per Gaza e in contropartita della liberazione di tutti gli ostaggi. Il problema è che le risoluzioni precedenti che non andavano bene a Russia e Cina, mettevano in chiaro quello che è evidente a ognuno, cioè che tutto è partito con l’eccidio del 7 ottobre. In quest’ultima risoluzione, quindi, c’è un wording che non sta bene agli USA: avrebbero voluto qualche parola più incisiva in questo senso. Ora bisognerà vedere se la risoluzione avrà un seguito. Ci sarà una trattativa sulle modalità pratiche. È inammissibile quello che è successo il 7 ottobre, una mattanza con quasi 1.200 morti, però dall’altra parte ci sono 32mila morti, la gran parte donne e bambini. Israele, insomma, aveva il diritto di agire ma c’è sempre un problema di proporzioni quando a farne le spese è la popolazione civile.



Israele, per reazione, ha bloccato una delegazione che doveva recarsi negli Stati Uniti proprio in questi giorni. Non si fermerà qui?

Sì, ha bloccato la delegazione, ma non aveva bisogno di mandarla. Il Segretario di Stato USA, Blinken, che fa la spola di continuo con il Medio Oriente, ha spiegato in tutti i modi a Israele qual era il problema.

Esistono delle risoluzioni più stringenti che l’ONU potrebbe adottare?

Sì, si può far riferimento agli articoli 39 e 41 della Carta delle Nazioni Unite, da cui possono discendere risoluzioni non più esortative ma obbligatorie. Bisogna tenere conto del fatto però che, in questo caso, non ci sono due Stati che si confrontano, come nella vicenda di Russia e Ucraina, nazioni che sono membri dell’ONU e che sarebbero chiamate a ottemperare a una risoluzione. Qui, invece, da una parte c’è uno Stato, il cui governo, piaccia o meno, è democratico e, dall’altra parte, un gruppo che molti ritengono terroristico. È come quando si pose il problema della trattativa con le Brigate Rosse durante il sequestro dell’on. Aldo Moro.

Israele come può reagire ulteriormente a questa decisione? È una risoluzione che la isola nella comunità internazionale?

La risoluzione rappresenta un tentativo serio per un cessate il fuoco temporaneo, per il tempo del Ramadan, anche se potrebbe essere funzionale a qualcosa di più duraturo. È chiaro che se vengono liberati gli ostaggi, il problema in qualche misura si risolve; a quel punto, Israele non potrà continuare a bombardare la popolazione civile.

L’obiettivo di Netanyahu, però, è cancellare Hamas; se si applica la risoluzione, dovrà rinunciarvi?

Cancellare Hamas non è sterminare la popolazione palestinese. I palestinesi non sono Hamas, anche se l’organizzazione aveva il controllo di Gaza.

Israele, alla fine, cosa farà? Dovrà cedere qualcosa o finirà per arroccarsi?

Non credo che si arroccherà. Penso che anche la società civile israeliana sia convinta che è arrivato il momento di fare un passo nella direzione della pace. L’unico che ci rimette in questa vicenda è Netanyahu, perché sa che, se la situazione si dovesse risolvere, potrebbe esserci uno scossone nel governo di Israele. Lui ha sette vite, ma ora è anche molto giù nei sondaggi.

Tra USA e Israele, quindi, non si romperanno i rapporti, ma come cambieranno le loro relazioni?

Non credo che cambieranno; ci sarà qualche rimostranza, ma ci sono rapporti talmente stretti fra i due Stati che passano sopra un’astensione del genere. Anche gli USA, d’altra parte, hanno i loro problemi, hanno un’amministrazione che sta alla fine del mandato, li attende una campagna elettorale che sarà basata anche su questi temi.

Al punto in cui siamo arrivati, gli Stati Uniti potevano esimersi dal prendere una posizione del genere?

No. Al di là delle parole usate, avevano presentato una risoluzione bloccata da Russia e Cina ma che andava nello stesso senso. Se dovessero essere liberati tutti gli ostaggi ancora in vita, sul cui numero oggi neanche Hamas ha la certezza, d’altronde si otterrebbe un risultato più che positivo, che rivitalizzerebbe le stesse Nazioni Unite.

In fine dei conti, quindi, ci possiamo aspettare che Israele scenda a più miti consigli?

Bisogna improntare le valutazioni al principio di ragionevolezza. Se leggiamo la risoluzione partendo da questo, dobbiamo convenire che ottenere la liberazione degli ostaggi, che è un problema per Israele perché i familiari dei rapiti stanno facendo pressioni da tempo per liberare i loro cari incidendo sulla società civile, non è cosa da poco.

È possibile immaginare cosa succederà ora, anche dal punto di vista dei tempi?

Potrei essere più chiaro se la risoluzione fosse stata pubblicata, cosa che le Nazioni Unite non hanno ancora fatto, eppure sono passate diverse ore dal voto. Probabilmente conterrà un invito al cessate il fuoco temporaneo, fino al termine del Ramadan, cioè fino al prossimo 9 aprile, in cambio del rilascio immediato e incondizionato (perché immediato è anche il cessate il fuoco) degli ostaggi. Qui, la ragionevolezza non può significare smettere di bombardare all’arrivo in Israele dell’ultimo degli ostaggi, anche se bisognerà evitare contemporaneamente che dal territorio controllato da Hamas partano droni o missili contro Israele stesso. Le modalità applicative dovranno comprendere un’intesa, anche se, a dire il vero, le parti stanno già negoziando da tempo su una possibile tregua. Adesso il problema vero sarà mettere in pratica la risoluzione.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI