Rischio carestia in Sudan per 6 milioni di persone. Questo è l’allarme che giunge dall’Africa e che rimbalza alle nostre latitudini per mezzo del reportage realizzato dal quotidiano “Avvenire”, mediante il quale sono stati accesi i riflettori sulla situazione che si sta palesando nel distretto di Gumbo, a pochi chilometri da Juba. Il 60 per cento degli abitanti, è alle prese con una drammatica emergenza alimentare e la causa di queste difficoltà vanno ricercate nella guerra in Ucraina, apparentemente distante anni luce, nella realtà concreta mai così determinante per le sorti dei cittadini in Sudan.
Complice il conflitto in essere nell’Est Europa, infatti, il Programma alimentare mondiale dell’Onu ha dovuto assumere una decisione che definire drastica pare un eufemismo: tagliare gli aiuti alimentari al Sud Sudan. Ergo, un milione e mezzo di persone, comprese decine di migliaia di bambini, non riceveranno più cibo. Come si legge nel servizio, “i magazzini degli enti internazionali, che si rifornivano in gran parte da Kiev per il loro grano, sono sempre più vuoti. Le Ong devono comprare grano altrove, ma a prezzi ben più alti, e così i fondi non bastano più per tutti. La selezione degli aiuti è già tutta qui”.
RISCHIO CARESTIA IN SUDAN: “A GUMBO OLTRE L’80% DELLE FAMIGLIE HA FINITO LE SUE RISERVE ALIMENTARI”
Proprio in Sudan si sarebbe dovuto recare Papa Francesco, ma la sua visita, com’è noto, è stata rinviata per ragioni di salute. Nonostante ciò, il Pontefice ha inviato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e un videomessaggio al Sud Sudan e al Congo, nel quale ha asserito: “Vi porto nel cuore più che mai. Porto dentro di me, nella preghiera, le sofferenze che provate da tanto, troppo tempo”.
Sofferenze, purtroppo, sempre più concrete, come spiega ad “Avvenire” Peter Loku, curatore di un progetto realizzato dall’Ong Avsi a favore di 150 agricoltori, quasi tutte donne: “A Gumbo oltre l’80 per cento delle famiglie ha già finito le sue riserve alimentari. Ogni giorno gli abitanti faticano ad avere qualcosa da mangiare. Con gli aiuti in diminuzione, è importante rafforzare le capacità dei contadini, la loro formazione. Gli stessi cambiamenti climatici e la deforestazione sono una sfida tremenda. Prima si cominciava a coltivare a marzo, ora si arriva a maggio o a giugno, perché le piogge iniziano tardi”.
SUDAN, L’ARCIVESCOVO MULLA: “LE GRANDI POTENZE SUPERINO IL LORO DISINTERESSE”
Monsignor Stephen Ameyu Martin Mulla, arcivescovo di Juba, nominato alla guida della diocesi nel marzo del 2020, ha chiarito ad “Avvenire” che in Sudan l’insicurezza alimentare “è causa a sua volta di insicurezza, in un Paese in cui già la tensione è alta. Le ragioni sono di diverso tipo, dalle dinamiche politiche internazionali alle conseguenze del cambiamento climatico, che provocano da un lato siccità e dall’altro inondazioni che distruggono intere aree agricole, causando la fuga di molte persone. Sia i nostri politici che le grandi potenze possono e devono fare di più”.
Sono in particolare le grandi potenze che, a giudizio del monsignore, dovrebbero “superare il loro disinteresse: in questo modo potrebbero facilmente risolvere i problemi del Sud Sudan, forzando le parti al dialogo. Solo la stabilità può darci soluzioni durature. Risolvere i problemi ora è meno costoso rispetto a dover intervenire contro una catastrofe in futuro”.