Dal 23 aprile al 22 giugno alla Scala si rappresenta ‘Ariadne auf Naxos’ di Hugo Von Hofmannsthal e Richard Strauss in una nuova produzione con la regia di Fredefic Wake-Walker, scene di Jaime Vartan, costumi Sylwester Luczak e Ula Milanowska, Franz Welser-Mőst alla guida dell’orchestra ed un cast vocale di grandi nomi della lirica internazionale. L’opera è comparativamente poco nota al grande pubblico; la prima rappresentazione e alcune repliche sono state programmate proprio nei ‘ponti’ di Pasqua, 25 aprile e primo maggio. Ci sono file vuote e biglietti scontati. La produzione è una proposta originale che ha destato controversie e che vale la pena vedere.
Nella vulgata, vige la leggenda di un Richard Strauss “impolitico” per cui il secolo breve di due guerre mondiali e tragedie immani sarebbe scorso contrassegnato solo da “rumori di fondo”. In Italia, la ha accreditata, alcuni anni fa, anche dall’analisi fatta da Francesco Maria Colombo del carteggio tra Strauss e Hofmanntsthal. E’ vero che Strauss viveva e componeva distinto e distante dalla politica attiva, “per lasciarne le cure a chi se ne interessa” (come lui stesso scrisse), ma proprio le opere composte, o ri-composte, durante le due guerre mondiali provano quanto fossero “politici” e il suo pensiero e la sua musica.
Durante la prima guerra mondiale vennero concepite la seconda edizione di Ariadne auf Naxos (quella che si rappresenta correntemente) e Die frau ohne schatten(“La donna senz’ombra”); durante la seconda Capriccio. Die frau è uno dei più grandi canti all’amore coniugale, alla paternità ed alla maternità ed alla loro piena conquista solo dopo un percorso di sofferenza: cosa di più “politico” mentre l’Europa si stava suicidando?
Ed è Ariadne, in apparenza un mero divertissiment intellettuale? La prima versione, del 1912, è un’acuta satira dei nouveaux riches, unitamente ad un’ironica parodia di 300 anni di teatro in musica (dalla commedia dell’arte all’opera comica, dalla tragédie lyrique al “bel canto”, dal melodramma al teatro totale wagneriano e post-wagneriano). Nella seconda, quella del 1916 (comunemente rappresentata), la parodia resta, ma la satira alla borghesia ricca (e cafona) passa in secondo piano e il vero elemento fondante del gioco a cerchi concentrici è la vittoria di Eros su Tanatos. Viene capovolto l’assunto classico e romantico della stretta congiunzione tra Eros e Tanatos (e della vittoria del secondo sul primo) proprio mentre in un’Europa trasformata in trincea Tanatos distrugge almeno una giovane generazione di Eros. In Ariadne, Eros è omnivoro; nel “Prologo” sconfigge anche la “Dea Musica” (con il giovane “Compositore” sedotto da Zerbinetta e quasi pronto a buttare a mare il proprio lavoro); nell’“Opera” vince su tutti i fronti trascinando la virtuosa ed inconsolabile Arianna tra le braccia di Bacco, sulla scia del grande rondò sulla esaltazione dell’eros più libero, e più promiscuo. Questo tema si intreccia con un altro tipico della drammaturgia del primo Novecento (pensiamo, ad esempio, a Pirandello): la finzione che diventa ‘effettiva realtà’ e la realtà che invece si trasforma in finzione. Il tutto è esaltato da una partitura ed orchestrazione in cui, da un lato, si citano (e si prendono in giro) un paio di secoli di storia della musica e, dall’altro, un organico ridotto è in grado di alternare sonorità mozartiane e sonorità wagneriane.
Opera breve, ma complessa e difficilissima, e con poco appeal per il grande pubblico italiano. Ciò nonostante, nell’ultimo quarto di secolo (o giù di lì), ho avuto modo di vederla ed ascoltarla a Spoleto, a Roma, a Catania, a Venezia, a Genova, a Firenze ed a Milano. L’edizione migliore è stata, a mio avviso, quella romana, nel 1990-91, con Gustav Kuhn sul podio e la regia di Francesca Zambello. Mentre restai deluso di quella alla Scala dieci anni dopo.
Allora nella lettura di Ronconi, il nesso tra Eros e Tanatos rafforzato da un impianto scenico ispirato al quadro ”Isola dei morti” di Böcklin. Nel 2000, Sinopoli, forse presago della propria fine, dilatava i tempi, accentuando la melanconia della partitura. La regia è stata rivista dallo stesso Ronconi per dare maggior spazio al divertissement. Alla ripresa nel 2006, la bacchetta di Jeffrey Tate guidava l’organico di 37 strumenti con morbida sensualità, lettura che sarebbe piaciuta a Strauss.
In questa nuova produzione Wake-Walker ed i suoi collaboratori pongono la parabola (che di parabola si tratta) in quadra atemporale con riferimenti alla Pop Art, soprattutto nel ‘Prologo’ ed al teatro musicale leggero degli Anni Cinquanta (la grande scalinata finale ricorda la ‘riviste’ di Wanda Osiris). I riferimenti alla Pop Art rammentano la produzione del Giulio Cesare in Egitto di Händel firmata da Mosher Leiser e Patrice Caurier che trionfò a Salisburgo nel 2012 e si è vista in numerosi teatri europei. L’allestimento ha sollevato critiche ma è gradevole ed efficace anche se non realizza a pieno il nesso tra realtà e finzione, centrale al libretto. C’è, poi, un incongruenza: Arianna scompare in una botola proprio quanto Zerbinetta canta la grande aria di coloratura con rondò in cui invita la ‘principessa’ a darsi all’Eros. A chi è diretto l’invito? A sé stessa? D’altro canto, sola in scena nel grande palcoscenico della Scala, con proiezioni sul fondo, la Zerbinetta di Sabine Devieilhe si merita ed ottiene una vera e propria ondata di applausi a scena aperta.
Andiamo con ordine, Al debutto, Franz Welser-Mőst ha ricevuto critiche, probabilmente perché giunto cinque giorni prima a Milano, ha fatto poche prove. Alla replica del 28 aprile a cui ho assistito è stato applaudito e soprattutto ha tratto dall’orchestra non solo sonorità mozartiane e wagneriane ma anche citazioni, quasi sottotraccia, di Schubert e Beethoven.
Il cast, sontuoso, include il sovrintendente e direttore artistico della Scala, Alecander Pereira, nel ruolo, recitato, del maggiordomo. Sbuca dal suo consueto palco di proscenio di sinistra, in marsina, e va sul palcoscenico. Recitazione non solo impeccabile ma colma di brio ed ironia.
Ariadne richiede grandi voci, soprattutto – come sempre in Strauss- femminili. In questa produzione, le ha. Krassimira Stoyanova è una protagonista difficile da dimenticare per la drammatica delicatezza con cui affronta il ruolo. Sabine Devieilhe è una Zerbinetta con un volume non forte ma appropriato, ed una incredibile agilità. Daniela Sindram incarna un compositore quasi adolescente, pieno di tremori e timore, con una vocalità dolcissima. Richard Strauss – è noto- non amava i tenori; quindi, Michael Koening è un Bacco Pop, parodia dei tenori wagneriani. Tra gli altri, tutti di livello, spiccano il maestro di musica di Markus Werba e il terzetto (Najade, Dryde ed Echo) che accompagna Arianna: Christina Gansch, Anna Doris Cappitelli, Regula Muehlemann,
Il 28 aprile circa sette minuti di applausi al calar del sipario.