Il 27 novembre, in un teatro affollatissimo, la stagione 2022-2023 del Teatro dell’Opera di Roma è stata inaugurata con Les Dialogues de Carmélites di François Poulenc. A Roma, il lavoro mancava dal 1991, quando al Teatro dell’Opera venne presentata una superba edizione (con la regia di Alberto Fassini, le scene e i costumi di Pasquale Grossi, la direzione Musicale di Jan Lotham Koening ed un cast stellare), successivamente ripresa a Cagliari, Catania e Trieste.



Ho avuto la fortuna di vedere e ascoltare l’opera non solo a Roma ma nell’edizione di altissimo livello di John Dexter al Metropolitan di New York nel 1980 e in quella di Robert Carsen (con Muti sul podio) nel 2004 al Teatro degli Arcimboldi di Milano, dove la Scala era in trasferta durante i lunghi anni del restauro della sala del Piermarini. Di rilievo anche la versione di brani dell’opera in forma di concerto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2014, con la concertazione di Stéphane Denève. Altri lavori di Poulenc, quali La Voix Humaine Le Mammelles de Tirésias, possono essere considerati più innovativi, ma tanto Stabat Mater quanto Les Dialogues de Carmélites segnano il desiderio del compositore nel dare il meglio di sé nel ritorno alla Fede. 



La vicenda è nota: riguarda il ghigliottinamento di sedici carmelitane in Piazza della Rivoluzione (oggi Piazza della Concordia) dieci giorni prima della fine del terrore. E’ una vicenda vera tramandata da una delle consorelle che, per una caso fortuito (era nei ministeri alle prese con pratiche burocratiche) non venne arrestata – segno della volontà del Signore di farla restare in vita a testimoniare il martirio delle altre. Commissionata dall’editore Ricordi per il Teatro alla Scala, debuttò in versione italiana, il 26 gennaio 1957 (data alla quale allora aprivano le stagioni scaligere).



La “prima rappresentazione” francese si sarebbe vista all’Opéra sei mesi dopo. Nei dodici mesi successivi, rappresentazioni (oltre che in Francia e in teatri italiani), a Londra, a Vienna e negli Stati Uniti. Il lavoro di Poulenc su testo di Georges Bernanos, inizialmente concepito come una sceneggiatura per un film (e tratto da un romanzo tedesco del 1931 Die Letze am Schafott, L’ultima al patibolo, di Gertrude von Le Fort) riguarda un gruppo di monache che di fronte al tribunale giacobino vanno alla ghigliottina piuttosto che abiurare alle loro idee più profonde. Il racconto aveva anche intenti politici (la libertà della Fede a fronte del Nazismo incalzante). Georges Bernanos ne trasse un dramma teatrale di successo e la sceneggiatura per un film. 

Il lavoro di Poulenc è tratto dalla sceneggiatura: rapide scene che si succedono nei tre atti (originariamente sarebbero dovuti essere due). Il film venne realizzato nel 1960 con la regia di Raymond Léopold Bruckberg e Philippe Agostini con Jeanne Moreau (tra gli interpreti) e André Bac (per la fotografia). Il film non torna nelle sale e neanche in televisione. L’opera di Poulenc è spesso in cartellone negli Usa, in Germania e in Francia.

E’ un lavoro quasi interamente per voci femminili anche se richiede un tenore lirico spinto ed un baritono nei ruoli principali (e molte voci maschili in quelli secondari). Tra la voci femminili, dominano un soprano ‘assoluto’ (la protagonista Blanche), un soprano di coloratura (Constance), un mezzo/contralto (la vecchia Priora), ed un mezzo soprano (Marie).

Mentre il romanzo di Gertrude von Le Fort venne letto, in Germania, come una denuncia dell’intolleranza sia del nazismo strisciante che del bolcevismo imperante in Unione Sovietica, la sceneggiatura di Georges Bernanos poneva, invece, l’accento sulla Fede cattolica come barriera contro i giacobinismi. Come ricorda Stefania Franceschini in Francis Poulenc – Una Biografia ( Zecchini Editore, 320 pagine € 23), il compositore era diventato famoso sia come acclamatissimo pianista sia per il suo spirito lieve e sorridente, per balletti come Les Biches concepito per Montecarlo o Les Fêtes Galantes oppure per lavori surrealisti come Les Mammelles de Tirésias oppure per monodrammi sulla sensualità (La Voix Humaine) e l’eros (Le Bel Indifférent) femminile. 

La morte di un amico caro, la seconda guerra mondiale ed un pellegrinaggio lo riportarono alla Fede cattolica che aveva abbandonato in gioventù. L’opera Dialogues des Carmélites fu la sua prima grande opera in tre atti e con numerosi personaggi e fu anche uno dei suoi ultimi lavori. E’ un’opera “moderna” ma non “contemporanea” in quanto vicina al teatro musicale tradizionale italiano e non agli stilemi di moda nel 1957. La partitura è rigorosamente tonale e – come disse lo stesso Poulenc – risente di influenze da Debussy, Verdi, Musorgskij, Stravinskij e Monteverdi. I recitativi sembrano improntati a Pelléas et Melisande ed a L’Incoronazione di Poppea, I cori ed i grandi momenti epici echeggiano Don Carlo Boris Gudonov. Nell’orchestrazioni si avvertono richiami a Stravinskij. L’opera richiede un orchestra smisurata quasi mahleriana (con una tripla dotazione di fiati, due arpe, pianoforte anche una ghigliottina).

Sono passati 65 anni dalla prima rappresentazione e in questi anni, al di là delle intenzioni degli autori, l’opera è stata oggetto di letture contrastanti. C’è chi la ha approvata come salutare alternativa alle asprezze delle avanguardie e chi criticata come partitura conservatrice. Lo stesso soggetto, a seconda dei punti di vista, è stato esaltato come condanna della Rivoluzione francese e dei suoi eccessi, o denigrato in quanto reazionario. Il passare del tempo ha dimostrato la sterilità di queste polemiche e ci permette oggi di superarle: sia il testo di Bernanos sia la musica di Poulenc sono ormai universalmente riconosciuti come vertici del teatro musicale del Novecento.

Eccellente la concertazione di Michele Mariotti che con questa opera debutta nel suo nuovo ruolo come direttore musicale del Teatro dell’Opera di Roma; è noto soprattutto come direttore rossiniano e verdiano, ma ricordo, circa dieci anni fa, una sua direzione de Il Prigioniero di Luigi Dallapiccola, uno dei vertici del teatro musicale del Novecento. Mariotti coglie le sfumature di Les Dialogues, i drammi interiori delle singole protagoniste, il clima del terrore negli ultimi mesi della Rivoluzione francese. Dà “gli attacchi” ai numerosi cantanti. L’ottima orchestra del Teatro dell’Opera ha dato una grande prova.

La regia di Emma Dante fa riferimento alle carmelitane prima di prendere i voti. “Chi, come le carmelitane ha deciso di votare la propria vita al sacrificio, rinunciando ai beni materiali, praticando la penitenza e l’astinenza dai piaceri terreni, all’inizio di tutto – afferma-  è stata una donna, sensuale, curiosa, combattente, vanitosa, amante della bellezza e della spensieratezza”. Non sono completamente d’accordo con questa lettura che sposta l’accento dalla spiritualità che, a mio avviso, è al centro dell’opera. Trovo, poi, fuor di luogo far lasciare dalle Carmelitane il convento in bicicletta. Il pubblico ha applaudito Emma Dante quando, con il suo team creativo, è venuta in palcoscenico alla fine dello spettacolo.

 Le efficaci scene sono di Carmine Maringola, i costumi di Vanessa Sannino, le luci di Cristian Zucaro e i movimenti coreografici di Sandro Campagna.

Andiamo alle voci. Protagonista nel ruolo di Blanche de la Force il soprano americano Corinne Winters, che a Roma è stata indimenticabile interprete di Madama Butterfly e Kát’a Kabanová, reduce da un clamoroso successo personale all’ultimo Festival di Salisburgo proprio nel capolavoro di Janáček. È un vero soprano assoluto (ed una grande attrice) che esprime perfettamente i tormenti e la incertezze di Blanche sino alla decisione di essere «l’ultima al patibolo». Accanto a lei Anna Caterina Antonacci, che proprio con Mariotti e Dante è stata protagonista della Voix humaine di Poulenc a Bologna, nei panni di Madame de Croissy. Anche lei è un «soprano assoluto» con grandi capacità interpretative: con il passare degli anni, la voce si è brunita ed è perfettamente a suo agio in un ruolo a volte affidato ad un mezzo soprano od anche ad un contralto.

Ewa Vesin interpreta Madame Lidoine è un soprano drammatico di livello che al Teatro dell’Opera di Rome è stato apprezzato nel 2019 come protagonista de L’Angelo  di Fuoco di Prokofiev. Ekaterina Gubanova, un mezzo soprano russo, interpreta con passione, Mère Marie de l’Incarnation, Infine, nel gruppo femminile, Emöke Baráth, un soprano ungherese nota principalmente per i ruoli di coloratura in opere barocche è una vivace Soeur Constance de Saint-Denis.

Nei ruoli maschili, spiccano Jean-François Lapointe nel ruolo del Marquis de la Force e Bogdan Volkov in quello del Chevalier de la Force. Completano il cast Krystian Adam (L’Aumônier du Carmel), Alessio Verna (Le Geôlier e secondo Commissaire), William Morgan ( secondo Commissaire), Roberto Accurso (Officier). Diversi i giovani talenti provenienti dalle ultime edizioni di “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma: Irene Savignano (Mère Jeanne de l’Enfant-Jésus), Sara Rocchi (Soeur Mathilde) e Andrii Ganchuk (Thierry e Javelinot). Il coro del Teatro dell’Opera di Roma è stato preparato da Ciro Visco, il quale ha sostituito Roberto Gabbiani che lo ha diretto negli ultimi 12 anni, portandolo ad un ottimo livello.

 Quindici minuti di applausi ed ovazioni.