Quella messa in scena nello splendido Teatro Vespasiano di Rieti (tanto amato dalla mai troppo compianta Franca Valeri) sarà ricordata come l’ultima La Traviata. Realisticamente, anche se –come amava dire Oscar Wilde – è difficile fare previsioni sul futuro – oggi mentre i camici bianchi di Milano chiedono un lockdown totale della Lombardia, è difficile congetturare riaperture dei teatri e della sale di concerto nei prossimi mesi.



A Rieti si svolge il piccolo ma interessante Reate Festival, di cui ci siamo occupati altre volte, perché, intelligentemente co-produce con altre istituzioni (quali Accademia di Santa Cecilia, Accademica Filarmonica Romana). Questa La Traviata, andata in scena la vigilia della chiusura dei teatri, è coprodotta dal Reate Festival con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona e il Teatro Coccia di Novara, con il sostegno della Fondazione Alberto Sordi per i giovani. Inoltre, le scene efficaci e suggestive di Michele Olcese sono frutto della collaborazione con l’Arena di Verona. Sontuosi i costumi di Giada Masi ed efficaci le luci di Andrea Tocchio. Lo spettacolo (che mi auguro si vedrà a tempo debito a Savona, Novara e – spero – anche Roma) ha due punti forti, anzi fortissimi:



a)      La regia di Renata Scotto, Regina del Metropolitan quando vivevo negli Stati Uniti e, credo pochi lo sappiano,  nel 1995  regista, alla New York City Opera, di una La Traviata, ripresa in diretta televisiva, che s’aggiudicò il prestigioso Emmy Award come miglior evento televisivo dal vivo.

b)    L’interpretazione di Rosa Feola, che dieci anni fa debutto proprio al Teatro Vespasiano di Rieti ed è oggi considerata una delle maggiori “soprano assoluto”.

Due artiste la cui semplicità ed il cui tocco umano è pari alla loro qualità ed alla loro fama internazionale.

Il successo di pubblico è stato trionfale, pur se poco echeggiato sulla stampa. Un allestimento di grande classe, vissuto dai presenti con l’emozione di chi ha avuto il privilegio di essere in un teatro tutto esaurito per applaudire una Violetta straordinaria. Rosa Feola, ora richiesta dai più importanti teatri e da direttori come Riccardo Muti, una fuoriclasse la cui maturità musicale si accompagna ad una strepitosa vocalità. Una protagonista in cui il personaggio si esprime a tutto tondo, con una così profonda introspezione da rivelare le più nascoste sfumature della scrittura verdiana. Una Violetta così autentica da confermare dopo oltre 150 anni e una vita sul palcoscenico come forse nessun altro personaggio, una grande modernità. Di grande livello l’esattezza esecutiva unita ad un fraseggio musicalissimo, nel quale le frasi più celebri prendevano nuova vita. Come è noto ai musicologi, La Traviata richiederebbe due soprano: uno lirico sino alla metà del secondo atto e da Amami Alfredo in poi uno drammatica. Vocalità che si trova unicamente nei rari “soprano assoluti” come lo fu Renata Scotto (classe 1934) ed ora Rosa Feola. Il pubblico ha entusiasticamente corrisposto, mantenendo peraltro le norme di distanziamento e permettendo lo svolgimento dell’evento nel rispetto delle regole anti-Covid previste.

L’allestimento ha dovuto tener conto anche nelle scelte registiche del distanziamento, offrendo soluzioni inusuali ma convincenti anche nei momenti in cui tradizionalmente era abituale la vicinanza dei due protagonisti. Apprezzabile e promettente lo slancio giovanile di Leonardo Sancho-Rosales nel ruolo di Alfredo e la presenza vocale e umana di Sergio Vitale in un Germont-padre molto più sfaccettato di come spesso appare. Consentita peraltro sulla scena la vicinanza tra Violetta e Giorgio Germont, padre di Alfredo, dato che Rosa Feola e Sergio Vitale sono marito e moglie nella vita.

La direzione di Giovanni Di Stefano, a capo dell’Orchestra Sinfonica di Savona, era duttile e attenta, il coro del Teatro dell’Opera Giocosa di Savona era diretto da Gianluca Aschieri.