Nonostante il Covid, le stagioni musicali continuano utilizzando streaming e televisione. La sera del 23 gennaio, difficile decidere se ascoltare e vedere una ripresa di una bella edizione di «Così Fan Tutte» di Mozart alla Scala od una versione in forma di concerto de «I Puritani» di Bellini al Teatro dell’Opera di Roma. Ho optato per «I Puritani» per trae ragioni: a) è un’opera che adoro e che per le difficoltà vocali è raramente in scena (mancava dal 1990 dal Teatro dell’Opera) b) è una rara occasione di ascoltare una versione filologica integrale dell’opera (come al Massimo di Palermo nel 2018); c) sono particolarmente legato al Teatro della Capitale perché è lì che a 12 anni di età sono stato stregato dalla «musa bizzarra e altera» e successivamente iniziato all’opera.
Nella edizione critica integrale, si recuperano una più ricca orchestrazione ed alcune cabalette, riaprendo tutti i «tagli di tradizione» delle produzioni oggi correnti. Si tratta di circa venti minuti di musica che, da un lato, comprovano come in Bellini l’orchestra non fosse principalmente supporto al «bel canto» e, da un latro, contengono un approfondimento psicologico (specialmente del personaggio di Riccardo) che spesso sembra fare difetto.
Opera seria in tre atti su libretto di Carlo Pepoli, tratto dal dramma storico Têtes rondes et Cavaliers di Jacques-François Ancelot e Joseph Xavier Boniface, «I Puritani» fu composta da Bellini in nove mesi, dall’aprile del 1834 al gennaio del 1835, tempi decisamente lunghi per il periodo, dovuti alla poca esperienza musicale del librettista.
E’ stata accolta trionfalmente alla prima assoluta a Parigi al Théâtre des Italien il 24 gennaio 1835, otto mesi prima della morte prematura del compositore, avvenuta il 23 settembre dello stesso anno, la vicenda de «I Puritani» si svolge in Inghilterra intorno al 1650, al tempo della guerra civile fra i Puritani, seguaci di Cromwell, e gli Stuart, fedeli al Re Carlo I. L’ardua e contrastata passione tra Elvira, figlia del generale dei Puritani, e Arturo, cavaliere degli Stuart, ostacolata dalla gelosia dell’antagonista Riccardo, conduce la giovane alla follia, immersa nei ricordi del suo passato felice, fino al tanto desiderato ritorno dell’amato che, condannato a morte, si salverà all’ultimo momento graziato da un’amnistia generale. Il libretto del buon Conte Pepoli, politico e letterato, non è purtroppo uno dei migliori a cui ha dato musica Bellini.
Sul podio dell’Orchestra del Teatro dell’Opera, è tornato Roberto Abbado, dopo il concerto di Capodanno, trasmesso in live streaming il 31 dicembre scorso, che ha totalizzato più di 15mila visualizzazioni. Ad alcuni ascoltatori, Abbado è parso dirigere un po’ lentamente. Lo è stato se raffrontato con alcuni edizioni discografiche celebri, come quella di Richard Bonynge con i complessi del Teatro Massimo Bellini di Catania e di Riccardo Muti con quelli del Maggio Musicale Fiorentino. Ma l’orchestrazione è differente rispetto a quella diretta da Bonynge e da Muti; quella critica ed integrale richiede scavare di più nel flusso orchestrarle per fare sentire le premonizioni romantiche (ad esempio, nella tempesta con cui inizia il terzo atto). L’ottima orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, lo asseconda pienamente: spiccano i fiati.
Nel ruolo di Elvira Valton, il soprano inglese naturalizzato australiano Jessica Pratt. La seguo da quando debuttò al Rossini Opera Festival nel 2011 in «Adelaide Regina di Borgogna» sorprendendo il pubblico con la sua ardita vocalità. La ho ascoltata ne «I Puritani» nella produzione di OperaLombardia nel 2012 ed in quella del Maggio Fiorentino del 2015. Conosce il ruolo benissimo ed è entrata nella parte al momento stesso in cui si è vista in scena. Ha ormai preso il posto di Dame Joan Sutherland come interprete ideale de «I Puritani»: ha sfoggiato gran virtuosismo sin dalla cavatina del primo atto ed è stata struggente ed emozionante nel lungo ed impervio duetto del terzo.
Nei panni di Lord Arturo Talbo il tenore americano Lawrence Brownlee, al suo debutto a Roma. Lo ricordo giovanissimo al Rossini Opera Festival come spericolato tenore di «bel canto». Da allora sono passati circa vent’anni in cui si è visto ed ascoltato molto poco in Italia perché ingaggiato in altri Paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti: al Metropolitan è il Lord Arturo Talbo di riferimento. A 48 anni, il suo squillo non è più quello che aveva a 25 anni, ma la sua voce è intatta, i suoi acuti appassionanti (nella cavatina del primo atto e nel duetto del terzo). Ha anche approfondito i legato ed i bemolle. Sfoggia un bellissimo sì naturale.
Sir Riccardo Forth è interpretato da Franco Vassallo e Sir Giorgio Valton da Nicola Ulivieri. Vassallo dimostra ancora una volta di essere un grande baritono. Conosco Ulivieri da quando nel 1996 debuttò al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto in «Don Giovanni». E’ un ottimo baritono-basso. Avrei preferito un Sir Giorgio più scuro ma Ulivieri sa scendere ad un registro molto basso. Avvincente il duetto con cui chiudono il secondo atto.Nonostante, la versione fosse in forma di concerto, i quattro protagonisti recitavano in scena.
Lord Gualtiero Valton era Roberto Lorenzi. Completavano il cast due giovani talenti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, Rodrigo Ortiz e Irene Savignano rispettivamente nei ruoli di Sir Bruno Roberton ed Enrichetta di Francia.
Il Coro del Teatro dell’Opera, diretto da Roberto Gabbiani, occupa parte della platea e dei palchi con ottimi effetti stereofonici.
La produzione può essere vista ed ascoltata su operaroma.tv a cui si accede dal sito del Teatro dell’Opera. Da non perdere.